La campana di Atri
(I processo atriani - 1909-1925)

La Corte
Processi celebri teramani
Collana a cura di Elso Simone Serpentini

 
 

La campana di Atri

 

Un’antica leggenda dice che qualche tempo dopo che venne fondata la città di Atri, e fu molto tempo prima che fosse fondata Roma, si trovò a passare per quelle parti il Re. Si chiamava Re Giovanni.

Quando vide quelle case abbarbicate su di un colle, che davano l’impressione di aiutarsi l’una con le altre per sostenersi e stare in piedi in quella maniera così pittoresca, disse ai grandi dignitari che lo accompagnavano:

     - Mi danno l’impressione che si siano volute arrampicare tutte insieme fino al culmine del colle, ma poi, rimaste invece a mezza via per riposarsi, devono aver detto: "Il sole è troppo ardente, noi siamo stanche, avvenga quel deve avvenire, noi ci fermiamo".

     Dice ancora la leggenda che quelle case non avessero poi mai ripreso il cammino e fossero rimaste lì dove si erano fermate per quella che avrebbe dovuto essere soltanto una breve sosta per riposare e si era invece rivelata una sistemazione duratura, determinata dalla bellezza del luogo e dalla loro pigrizia. Il Re Giovanni, quando lasciò Atri per tornare nella capitale del Regno, volle lasciare agli abitanti di quella pittoresca città un suo ricordo perenne. Fece sospendere proprio in mezzo alla piazza del mercato una grande campana, coperta da una tettoia, e poi, percorrendo le vie col seguito dei cortigiani, preceduto da trombettieri, pronunciò egli stesso questo editto:

     - Lascio a governarvi un mio dignitario. Chiunque di voi riceva danno o offesa, suoni la campana e il governatore, in nome del Re, vi renderà giustizia!

     Dopo che il Re fu partito, ogni volta che la campana suonava il governatore rendeva giustizia, come aveva promesso il Re. Chi si era reso colpevole di offesa o di ingiuria o aveva commesso qualche delitto, veniva condotto su un colle che si trovava non molto distante da quello sul quale si trovava Atri e veniva giudicato. Quel colle si chiamò da allora Colle della Giustizia. La campana negli anni successivi fu suonata sempre più spesso, tanto che si dovette fare qualcosa per la corda che la suonava e che, per le troppe volte che era stata usata, era diventata tutta consunta e logora. Si decise così di rafforzarla con alcuni sarmenti pampinosi, tanto che, a vederla, la corda sembrava ornata, come un altare, da un trofeo campestre. Si dovette più volte cambiare anche i sarmenti, perché l’uso e le mani dei suonatori consumavano anch’essi. E, ogni volta che la campana veniva suonata, il governatore usciva dal suo palazzo, si presentava sulla piazza e, dopo il suono della tromba, chiedeva:

     - Chi ha suonato la campana di Atri?

     Chi l’aveva suonata si presentava ed esponeva le ragioni dell’ingiuria. Chi aveva ingiuriato ed offeso veniva chiamato a discolparsi e poi giudicato. Chi era stato ingiuriato ed offeso riceveva giustizia.

     Dice ancora la leggenda che nel tempo si successero ad Atri numerosi governatori e dopo molti anni ne arrivò uno che, quando suonava la campana, non usciva più dal suo palazzo e non si portava più sulla piazza a chiedere chi l’avesse suonata. Gli ingiuriati e gli offesi non ebbero così più giustizia, nemmeno quando le ingiurie e le offese cominciò a farle lo stesso governatore. Accorgendosi che era inutile suonare la campana, gli atriani presero a non suonarla più. Così nessuno più ne udì il rintocco e nessuno più ne tirò la corda. La campana rimase muta e questo per anni ed anni ed anni…

 

La partenza di Antonio Bordin

 

     La prima cosa che Massimo Impacciatore pensò, quando, un giorno di maggio del 1909, qualcuno lo avvertì che era stato visto in giro per le strade di Atri l’ex brigadiere dei carabinieri Antonio Bordin, fu che chi lo aveva visto e riconosciuto, o almeno così diceva, doveva essersi sbagliato. Non poteva credere che ci fosse una sola ragione al mondo che avesse potuto indurre a tornare in Abruzzo quel veneto cocciuto e ficcanaso che aveva comandato la stazione di Atri durante quei "giorni terribili" della ripresa dell’istruttoria per l’omicidio Scena.

Impacciatore sapeva che Bordin era ormai in pensione, era tornato nella sua regione, il Veneto, era sposato e aveva due figli. Che motivo poteva avere per tornare ad Atri? Impacciatore dovette però convincersi che Bordin ad Atri c’era tornato davvero. Un altro paio di persone gli dissero, infatti, di averlo proprio visto e riconosciuto.

Non soltanto era tornato, ma aveva ripreso perfino il suo antico "vizio", quello di andar facendo domande a destra e a manca, a parlare con questo e con quello. Era stato visto parlottare con Gaetano Benvenuti e figuriamoci se non era stato da lui informato su tutto quello che era avvenuto ad Atri da quando ne era partito.

     La seconda cosa che Impacciatore pensò fu che quel ficcanaso di Bordin non avrebbe voluto incontrarlo. Intanto per la diffidenza istintiva che aveva sempre provato nei suoi confronti, ma anche, non faceva fatica a confessarlo a se stesso senza problemi, perché aveva sempre ritenuto che, se c’era qualcuno da cui temeva di essere spiato fin dentro l’intimo del suo animo, quel qualcuno era proprio lui, l’ex brigadiere Bordin. Se c’era qualcuno che potesse provare a dare corpo a quelle accuse che anonimamente gli venivano fatte di essere stato proprio lui l’esecutore materiale del delitto Scena, questi era l’ex brigadiere Bordin.

   Quando seppe che "il ficcanaso" si era incontrato anche con Luigi D’Agostino, detto "il cappellaio", Massimo Impacciatore ebbe la certezza che Bordin ad Atri c’era tornato per continuare ad impicciarsi di quel vecchio processo di cui ad Atri nessuno più parlava in pubblico, ma molto in privato e a mezza bocca. Forse Bordin era tornato ad Atri anche per scoprire chi avesse provocato a suo tempo il suo trasferimento e poi il suo precoce pensionamento. Perché avesse aspettato tanto prima di tornare non riusciva a comprenderlo, ma nemmeno gli importava darsi una spiegazione. Quello che contava era che era tornato. Altrettanto importante era riuscire a capire che intenzione avesse e per quanto tempo fosse intenzionato a restare.

     Quando era stato richiamato in Abruzzo, per testimoniare nel processo civile intentato dalla madre di Luigino Scena, Elisabetta Cervone, contro Vincenzo Cherubini, Bordin non era tornato ad Atri, restandosene per un paio di giorni a Teramo. Perché vi era tornato proprio adesso?

 

 

* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 26 della Collana "Processi celebri teramani". 

 

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