Ammazzaru u sinnacu ri Castidduvitranu
(Il processo Guzzo-Mandina
Saporito 1905)
La Corte
Processi celebri teramani
Collana a cura di Elso Simone
Serpentini
L’Italia Centrale del 15 marzo 1905
L’Italia Centrale del 15 marzo 1905 scriveva: “Il 22 marzo p.v.
- e speriamo per l’onore della magistratura italiana non abbia a
subire ulteriori rinvii - incomincerà la discussione nella nostra
Corte di Assise da cinque anni per le mani di magistrati e di
avvocati. Questo processo che ci permetterà per più mesi di leggere
pagine calde di vita siciliana, già appassiona il pubblico teramano
e si aspetta da tutti con ansia che i battenti della Corte si
aprano”.
Perché il processo si svolgeva a Teramo? Perché la Corte di
Cassazione che lo aveva in un primo tempo trasferito, per legittima
suspicione, dalla Corte di Assise di Trapani, competente per
territorio, a Palermo, per un incidente dibattimentale occorso lo
aveva trasferito in altra sede ed era stata scelta Teramo, presso la
cui Corte d’Assise si svolse così uno dei più celebri processi
italiani dei primi anni del Novecento.
Imputati erano i fratelli Giuseppe e Francesco Guzzo e il loro
cugino Giovanni Mandina, accusati di aver ucciso la sera del 15
gennaio 1901, verso le ore venti meno un quarto, a Castelvetrano il
sindaco del paese, cav. Giuseppe Saporito, fratello del deputato on.
Vincenzo Saporito. Quest’ultimo, nato a Castelvetrano il 26 agosto
1849, proveniente da una agiata famiglia, dopo aver studiato al
seminario di Mazara del Vallo e poi dai gesuiti a Palermo, si era
laureato in legge ed era stato eletto deputato nel 1882, nella XV
legislatura (22 novembre 1882-27 aprile 1886), nel collegio di
Alcamo-Castelvetrano. Resterà deputato ininterrottamente per nove
legislature fino al 1913, sempre come autorevole membro della
commissione bilancio e conti. Prima crispino, poi giolittiano, era
stato sottosegretario al tesoro nel governo Pelloux dal 14 maggio
1899 al 24 giugno 1900. Al suo interessamento si doveva la
costruzione della linea ferroviaria Palermo-Trapani, via
Castelvetrano, e della stazione di San Nicola, in territorio di
Mazara del Vallo, dove la famiglia aveva ricche proprietà terriere.
In occasione dell’uccisione di suo fratello Giuseppe, maggiore di
lui d’età, il Prefetto di Trapani Amedeo Nassalli Rocca aveva
scritto nel suo libro “Memoria di un Prefetto”: “ Un singolare caso
di dittatura in grande stile era offerto in quegli anni in una
popolosa città che non nomino, da una primaria famiglia di sette
fratelli. Uno di loro era consigliere provinciale, uno sindaco, uno
Presidente della Congregazione di Carità, uno Presidente della banca
locale, uno membro della Giunta Provinciale Amministrativa, uno
della Commissione Provinciale di Beneficenza, e finalmente, il
settimo, deputato al Parlamento.”
Avversario di un altro esponente politico del trapanese, il ministro
dell’istruzione Nunzio Nasi, nel 1904 l’on. Vincenzo Saporito si
vide affidare la commissione d’inchiesta della Camera sulle
malversazioni del ministro, e questo mostra quanto fosse rilevante
il suo ruolo politico. In un discorso alla Camera il 25 maggio 1909
Giuseppe de Felice Giuffrida, vecchio esponente dei fasci siciliani,
denuncerà al nuovo Parlamento alcuni episodi clientelari
(concessioni governative, onorificenze, trasferimenti, ecc.) fatte
ai seguaci dei candidati giolittiani tra cui l’on. Saporito, oltre
ad intimidazioni e atti violenti - perfino un tentato omicidio - nei
confronti dei seguaci dei partiti avversari.
Nel 1910, poi, Gaetano Salvemini nel suo “Il ministro della mala
vita” denuncerà che nelle elezioni del 6 novembre 1904 nel collegio
di Castelvetrano si erano verificati numerosi brogli e il 4 novembre
1905 alcuni sostenitori di Saporito erano stati condannati a una
pena detentiva dal Tribunale di Trapani, che la sentenza era stata
confermata dalla Corte d’Appello di Messina, seguita da un ricorso
in Cassazione e da “una provvida amnistia”, che aveva consentito al
deputato Saporito, con un coraggio di leone, di proclamare alla
Camera che la condanna non esisteva.
Le vicende politiche e giudiziarie dell’on. Saporito consentono di
capire il clima nel quale era maturato nel gennaio 1901 l’omicidio
di suo fratello Giuseppe, che ricopriva la carica di sindaco di
Castelvvetrano, del quale erano stati individuati come mandanti i
fratelli Ampola, appartenenti al partito amministrativo fieramente
avverso a quello dei Saporito Ricca, la famiglia dominante di quella
zona del trapanese.
L’agguato serale del 15 gennaio 1901
Il sindaco era appena uscito dal Circolo Unione, in
compagnia di Michelangelo Mannone, e stava percorrendo via Mazzini
per recarsi a trovare la sua amante, Vincenza Ciraulo, quando, in un
punto della via illuminato da un fanale, era stato raggiunto da
colpi sparati con un Vetterli carico a mitraglia dalla distanza di
circa venti metri.
Trasportato a casa, il ferito era stato visitato e gli
erano state riscontrate varie ferite, di cui una gravissima al
fianco destro, penetrante nella cavità addominale, che aveva
prodotto la morte dopo due giorni.
Fin dal primo momento, la vittima dell’agguato aveva
fatto il nome di Giuseppe Guzzo come probabile autore del ferimento.
Interrogato, aveva dichiarato che, voltando lo sguardo verso il sito
da dove era partito il colpo, aveva visto confusamente uno o due
sconosciuti fuggire in direzione opposta. Aveva spiegato i suoi
sospetti contro Giuseppe Guzzo e suo fratello Francesco, dei quali
aveva chiesto l’arresto, dicendo che non potevano essere stati che
loro, non avendo a Castelvetrano altri nemici. Le indagini
sull’omicidio avevano preso le mosse proprio dalle dichiarazioni e
dalle indicazioni della vittima moribonda. Nella sua sentenza di
rinvio a giudizio la Sezione d’Accusa aveva elencato tutti gli
indizi a carico dei fratelli Guzzo. Giuseppe era stato denunciato
dal sindaco cav. Saporito ed era stato condannato nel 1899 dal
Tribunale di Trapani per peculato, commesso come ricevitore del
dazio. Dopo un condono di pena di sei mesi, uscito dal carcere, si
era messo alle costole del sindaco chiedendogli con insistenza di
procurargli un impiego stabile. Non avendolo ottenuto e scontento,
oltre che umiliato dalle poche sovvenzioni che la famiglia Saporito
gli elargiva, aveva spesso dato in escandescenze e proferito
minacce, ultimamente lo stesso giorno del ferimento.
Era stato accertato che tre mesi prima del delitto i
due fratelli Guzzo avessero complottato per uccidere il cav.
Saporito. Un ragazzo, Niccolò Modica, figlio di una concubina di
Francesco Guzzo, aveva riferito di aver origliato stando dietro una
porta e di aver sentito che i due fratelli parlavano della loro
intenzione di commettere l’omicidio. Aveva poi ritrattato le sue
dichiarazioni, che tuttavia non avevano perso del tutto la loro
validità indiziaria.
La sera dell’omicidio, questo era un altro indizio, Giuseppe Guzzo
era stato visto aggirarsi nella zona dove il cav. Saporito era stato
mortalmente ferito. Era stato riconosciuto dal teste Vincenzo Basone,
sopraggiunto proprio al momento dello sparo. L’accusato aveva
presentato un alibi che non si era rivelato molto consistente. Era
stato anche accertato il suo arbitrario possesso di un fucile
Vetterli di proprietà del municipio, a lui affidato per il servizio
del dazio e mai riconsegnato né rinvenuto e proprio quello era stato
indicato essere l’arma omicida.
* Riportiamo l'incipit del libro, volume
n. 41 della Collana "Processi
celebri teramani". |