Omicidio a Fonterossa e altri delitti (Processi teramani - 1878-1944)
La Corte
Omicidio a Fonterossa (1899) Alle
prime ore dell’alba di lunedì 2 gennaio 1899 in contrada Fonterossa,
agro di Giulianova, fu trovato il cadavere di un uomo. Le indagini
subito avviate dai Reali Carabinieri consentirono di accertare che
il morto era tale Giacomo Cinaglia. L’uomo era stato ucciso, come
mostrava una ferita d’arma da fuoco presente sulla parte anteriore
del collo. Chi lo aveva ucciso, chiunque fosse stato, aveva esploso
contro di lui, da breve distanza, un colpo con un fucile carico a
minuto piombo.
Stavano a dimostrarlo i margini anneriti della ferita e il dato fu
confermato dalla successiva autopsia, la quale consentì di accertare
che la cartuccia la cui esplosione aveva provocato la morte del
Cinaglia era piena di piombini di diversa dimensione, i quali, senza
formare una rosa ampia, anzi assai stretta, a dimostrazione della
breve distanza dalla quale il fucile aveva sparato, avevano attinto
la carotide, provocando una violenta emorragia, causa certa della
morte pressoché istantanea del malcapitato. Chi
aveva sparato, uccidendolo, a Giacomo Cinaglia? Sia a Fonterossa che
a Giulianova non si parlò d’altro per ore e si fecero più
supposizioni. Era stato un omicidio passionale o scaturito da un
contrasto di interessi? Si era trattato di un agguato, notturno, o
di una lite, degenerata e finita in tragedia? Aveva nemici Cinaglia?
Era giustificabile che ognuno dicesse la sua e proponesse una
propria ipotesi. Ma sempre più spesso la voce pubblica prese ad
indicare quale sospetto autore dell’omicidio Vincenzo Pultrone,
anche lui, come Cinaglia, contadino e residente in contrada
Fonterossa. Poiché le voci divennero sempre più insistenti e i
sospetti più numerosi, i Carabinieri procedettero al fermo di
Pultrone.
La gente diceva che tra Cinaglia e Pultrone non corresse ultimamente
buon sangue, che avevano questionato, per il possesso, conteso, di
una rivoltella. Chi faceva il nome di Pultrone, però, non sapeva
specificare i termini della lite, non sapendo dire con precisione
che fosse avvenuto tra i due, che in precedenza si erano frequentati
non mostrandosi in inimicizia. Ultimamente invece… Era successo
qualche cosa e quel che era successo riguardava il possesso di una
rivoltella. Sembrava che Cinaglia l’avesse sottratta a Pultrone e
che Pultrone ne rivendicasse la proprietà. Furono i Carabinieri a
tentare di capire come stessero le cose, facendo molte domande al
fermato e perquisendo la sua abitazione, ma Pultrone, oltre che
dirsi perfettamente innocente, negò che tra lui e Cinaglia ci fosse
stata una qualche questione per via del possesso di una rivoltella.
Il caso dell’omicidio di Fonterossa sembrò avviarsi a soluzione
quando una perquisizione domiciliare consentì ai carabinieri di
rinvenire nell’abitazione di Pultrone un fucile da caccia a
bacchetta, a due canne. Un attento esame e una perizia consentirono
di accertare che in una delle due canne era stata esplosa di recente
una cartuccia e poi era stata infilata una nuova cartuccia, che
risultava inesplosa. Anche nell’altra canna era presente una
cartuccia non esplosa. Dunque, il fucile era stato usato per sparare
un colpo e poi era stato ricaricato.
I sospetti su Pultrone diventarono più gravi e consistenti, anche
per il fatto che il fucile in alcuni punti era sporco di terra
fresca e presentava all’estremità delle canne, sulle bocche delle
stesse, un pezzettino di corteccia d’albero. Sembrava di poter
affermare che il fucile fosse stato adoperato di recente in
campagna, tenendolo col calcio a terra e con le bocche delle canne
appoggiate ad un albero. Il luogo dove era stato rinvenuto il
cadavere di Giacomo Cinaglia si trovava in campagna, lungo un viale
fiancheggiato da pioppi e il pezzettino di corteccia d’albero
trovato sulle bocche delle canne del fucile rinvenuto e sequestrato
in casa di Vincenzo Pultrone sembrava essere proprio di pioppo.
Furono anche esaminati i pallini di piombo rinvenuti sul cadavere di
Cinaglia e furono raffrontati con quelli che si trovavano dentro le
due cartucce infilate nel fucile sequestrato a casa sua e si
constatò che la loro natura era perfettamente identica.
Il caso dell’omicidio di Fonterossa sembra, dunque, risolto,
ma Pultrone continuava a negare, nonostante la gravità degli indizi
che sembravano accusarlo senza che potesse difendersi in modo
adeguato. Occorreva però accertare il movente e, perciò, venire a
capo, in assenza di una sua confessione, della questione di cui
continuava a parlare la gente, quella lite per via del possesso di
una pistola.
* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 37 della Collana "Processi celebri teramani". |