La corda che suona *
(I processi atriani  1901/1910)

La Corte
Processi celebri teramani.
Collana a cura di Elso Simone Serpentini

"Un uomo con un berrettino in testa

     Verso le 23.15 di sabato 3 agosto 1901 la 39enne Maria Nardinocchi, fu Vincenzo, moglie di Michele Marcone, stava seduta fuori della porta della sua bottega, sul corso Elio Adriano di Atri, insieme con il 18enne Domenico Ricci, fu Carmine, tipografo, quando vide venire dalla direzione di Piazza del Duomo un uomo con un berrettino chiaro in testa, che procedeva di buon passo. L’uomo passò davanti alla bottega, con il capo chino a terra, e proseguì oltre, svoltando poi per la strada di San Francesco.
     - Hai visto chi era ? Lo hai riconosciuto ? - chiese Maria Nardinocchi, levandosi di scatto in piedi, a Domenico Ricci. La donna si mostrava assai sorpresa.
     - No - rispose il giovane tipografo.
     - Mamma mia ! - esclamò la Nardinocchi - A me è sembrato che era Iannucci. E che ci fa in giro per Atri a quest’ora ? Non dovrebbe stare carcerato ? Mamma mia ! Devo avvertire subito la moglie.
     Il 60enne Filippo Iannucci, falegname, pregiudicato e sorvegliato speciale, prima di andare carcerato per l’ennesima volta aveva minacciato di morte la moglie, la 49enne Concetta Tintorale, da lui accusata di tradirlo con il 36enne Gaetano Castagna, anche lui falegname. La vita della povera Concetta era in pericolo, se il marito se ne andava in giro per le strade di Atri, prima ancora di aver finito di scontare la sua pena. Evidentemente era evaso. Proprio qualche minuto prima la Nardinocchi aveva visto Concetta, la quale, dopo aver chiuso la bottega che aveva sul Corso Elio Adriano, si era diretta verso Piazza del Duomo. Perciò  pregò Domenico Ricci di andare subito a cercarla e di avvertirla del pericolo che correva.

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     Gaetano Castagna stava ancora lavorando nella sua bottega da falegname, in Largo Forcella, e aveva la porta socchiusa per il gran caldo. Sentì picchiare, si affacciò e rimase assai sorpreso nel vedersi di fronte Filippo Iannucci, con in testa un berrettino e in mano uno strumento, che sembrava una raspa. Vederselo così, di fronte, all’improvviso, mentre tutti, come lui, sapevano che era attualmente detenuto nel carcere, lo sorprese tanto che non trovò un’altra domanda.
     - Che ci fai qui a quest’ora ? - chiese.
 La porta della sua bottega dava su una piazza chiusa, non su una strada di passaggio, e il fatto che Filippo Iannucci stesse lì, ora, evidentemente evaso, poteva significare una cosa sola: la sua vita era in pericolo. Era scappato dal carcere o era stato fatto uscire e ora voleva fargli la pelle, perché sospettava da tempo che egli fosse l’amante di sua moglie.
     - Dov’è mia moglie ? - chiese Filippo Iannucci.
     - Qui sicuramente non c’è ! - rispose Gaetano Castagna.
     All’improvviso Filippo Iannucci, senza replicare, si allontanò. Castagna, ancora fortemente impressionato, si affrettò a chiudere la sua bottega e si avviò verso Piazza del Duomo. Stava percorrendo Via Ferrante, quando sentì qualcuno correre alle sue spalle, si voltò e vide ancora Filippo Iannucci. Veniva di corsa.  “Eccolo, adesso mi ammazza !” pensò Gaetano Castagna. Ma, all’improvviso, Iannucci arrestò la sua corsa, abbassò la testa, come se non volesse farsi riconoscere, si voltò e tornò sui suoi passi, sempre di corsa. L’aveva scampata anche questa volta. Castagna finalmente arrivò in piazza e vide cinque o sei persone che venivano dal Corso.

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    Il 23enne Vincenzo Preferiti, il 19enne Antonio Riti e il 23enne Emidio Pallini, gli ultimi due calzolai, se ne stavano seduti sotto i portici del “Caffè Sociale”, quando avevano visto passare, con andatura frettolosa, un individuo con un berrettino in testa, che veniva da Piazza del Duomo e si dirigeva verso il Corso. Erano passati pochissimi secondi, quando videro arrivare, tutta trafelata, Maria Nardinocchi, la cui bottega si trovava a poca distanza dal Caffè.
     - Avete riconosciuto quell’uomo che è passato poco fa ? - chiese la donna.
     - No. Chi era ? - domandò Emidio Pallini.
 - Era Filippo Iannucci. Dovrebbe stare in carcere e se ne va in giro per Atri, dopo aver minacciato di uccidere la moglie ?
 - Ah, ecco chi era ! - rispose Vincenzo Preferiti - Era sembrato, appunto, anche a me che fosse Filippo Iannucci.
     Concetta Tintorale rimase senza fiato quando, mentre tornava a casa, vide all’improvviso un uomo che camminava piano piano proprio sotto il lampione che si trovava all’angolo della Chiesa di Sant’Agostino. Era il marito. Com’era uscito dal carcere ? Stava aspettando lei, dopo le minacce che le aveva fatto prima di andare carcerato ? Tale fu il suo spavento che, appena cominciò a correre verso casa, le sembrò per un momento di cadere ed ebbe l’impressione che il marito le fosse addosso, pronto a colpirla. Quando, finalmente, aprì la porta di casa, prima di chiudersela alle spalle e di salire le scale, si voltò e vide che nessuno l’aveva seguita e che in strada non c’era nessuno.

Nel carcere di Atri

     Guglielmo Di Blasio Orsini, fu Ignazio, 43enne, stava rientrando nel suo Caffè, che si trovava proprio sotto le logge del Municipio, quando notò un assembramento di persone dirimpetto alla porta del Municipio. Si avvicinò e sentì che qualcuno stava dicendo che Filippo Iannucci, detenuto, era uscito dal carcere ed era stato visto in giro per le strade di Atri. C’era una certa agitazione nel gruppetto di persone che commentavano l’accaduto. Qualcuno ricordò che Iannucci, prima di andare carcerato, aveva minacciato la moglie Concetta, dicendole che l’avrebbe uccisa, perché lo tradiva con Gaetano Castagna.
    Di Blasio decise di andare ad avvertire subito i Carabinieri, ma trovò la Stazione chiusa e, quando bussò, nessuno aprì o almeno egli non ebbe la pazienza di aspettare che qualcuno aprisse. Così preferì andare subito a picchiare alla porta del carcere, che si trovava nel cortile del Palazzo Municipale.
     Poco dopo aver picchiato per la seconda volta, Di Blasio sentì una voce dall’interno:
     - Chi è ? Che volete ?
     Non gli sembrava la voce del custode, Gregorio Catucci, e la voce non proveniva dalla stanza dove egli dormiva, ma dalla stanza al pianterreno, quella dei detenuti.

* Riportiamo l'incipit del libro, pubblicato come n. 10 nella Collana "Processi celebri teramani".

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