Due manciate di onore (I processi Mancini - 1889/1903)
La Corte
Domenica
12 agosto 1888
Erano passate da pochi minuti le sette, la mattina di domenica 12
agosto 1888, quando il Brigadiere Erasmo Palmerio, Comandante della
Stazione dei Carabinieri di Mosciano, entrò nel suo ufficio. Non
aveva ancora fatto in tempo a sistemare le poche carte che teneva
sulla sua scrivania, quando bussò alla porta il carabiniere Rinaldo
Piancatelli, che poco prima, al suo arrivo, lo aveva accolto con il
saluto regolamentare.
- Brigadiere, c'è un tizio di Ripattoni di Bellante - lo avvertì -.
Dice che c'è stato un ferimento, a colpi di pistola.
- Fallo entrare.
L'uomo che il Brigadiere si trovò di fronte era un contadino con la
faccia tutta sudata e i pantaloni sporchi quanto la camicia. Riferì
che del ferimento lui sapeva assai poco. Ne era stato informato da
un suo amico, che si era recato a casa sua, a Mosciano, e lo aveva
pregato di andare ad avvertire i carabinieri.
- E come mai non è venuto lui? - chiese il Brigadiere.
- E' venuto un'ora fa e ha detto che aveva fretta di tornare a
Ripattoni. Non sapeva se la caserma era già aperta e ha pregato me
di venire.
- Che cosa ti ha detto del ferimento?
- Mi ha detto solo che c'è stata una sparatoria e che un certo
Achille è stato ferito. Ma non mi ha detto niente di più.
- Non ti ha detto come sono le condizioni del ferito?
- No. Mi ha detto solo che non è morto.
- Quando è avvenuto il ferimento?
- Ieri sera, o forse ieri pomeriggio. Non ricordo bene. Ricordo però
che mi ha detto che è avvenuto non proprio a Ripattoni, ma a Colle
Izzano.
Colle Izzano era una contrada posta nel tenimento di Ripattoni, che
era una frazione del comune di Mosciano Sant'Angelo, dal cui
capoluogo distava circa sedici chilometri. Già contrariato per il
fatto che dal momento del ferimento fosse passato tanto tempo, il
Brigadiere Palmerio, un 35enne originario di Terracina, lo fu ancora
di più al pensiero di dover affrontare quel viaggio in una giornata
che si preannunciava assai calda. Ma, risoluto ed energico com'era,
incaricò subito il carabiniere Piancatelli di chiamare un vetturale
che li accompagnasse subito a Colle Izzano.
Quando il vetturale arrivò, mezz'ora dopo, il Brigadiere pensò per
un momento di farne chiamare un altro, perché il calesse era tutto
sgangherato e il cavallo che lo tirava sembrava tanto vecchio e già
stanco da far temere che avrebbe esalato l'ultimo respiro durante il
viaggio. Ma era troppo tardi per far cercare un altro vetturale,
così, sia pure a malincuore, il Brigadiere salì a bordo del calesse,
insieme con il carabiniere Piancatelli.
Il viaggio gli sembrò straordinariamente lungo, perché il calesse
cigolava, il sedile era scomodo e il cavallo ebbe molti momenti di
stanchezza, tanto che il vetturale dovette ricorrere più volte alla
frusta per spronarlo. Ma, finalmente, come Dio volle, il Brigadiere
si trovò sulla piazza di Ripattoni, dove trovò alcuni contadini, dei
quali non pochi indossavano il vestito della festa. Sceso dal
calesse, si fece dare da loro qualche ulteriore informazione sul
ferimento che era avvenuto a Colle Izzano, del quale, a quanto
parve, tutti erano informati, pur non sapendone quasi nulla di
preciso. Il quadro degli avvenimenti emergeva in modo confuso e
contraddittorio. Sembrava che il giorno precedente, verso le quattro
del pomeriggio, un certo Giovanni Mancini avesse sparato alcuni
colpi di rivoltella, ferendolo non gravemente, contro un suo vicino
di casa, che si chiamava Achille D'Annunzio. Sembrava che il
ferimento fosse avvenuto per motivi d'onore, in quanto Mancini era
geloso della moglie, che si chiamava Clementina ed era molto bella.
Da Ripattoni a Colle Izzano non fu possibile percorrere tutta la
strada in vettura, così il Brigadiere Palmerio e il carabiniere
Piancatelli dovettero scendere e proseguire a piedi per arrivare sul
luogo del ferimento, che si fecero indicare da un contadino che
disse di chiamarsi Raffaele D'Agostino. Le abitazioni del feritore,
Giovanni Mancini, e del ferito, Achille D'Annunzio, erano attigue,
anzi si trovavano in uno stesso fabbricato, a due piani, che aveva
un'ampia e lunga terrazza, quasi una loggia, a livello del secondo
piano, alla quale si accedeva mediante una rampa selciata dai
gradini assai rovinati. Sulla loggia si affacciavano tre porte. La
prima dava adito all'abitazione di Giovanni Mancini, la seconda a
quella del suo colono Francesco Lo Schiavo, la terza a quella di
Achille D'Annunzio. Tra la prima e la seconda porta c'era una
distanza di un metro e mezzo, tra la prima e la terza una distanza
di otto metri.
Il brigadiere bussò alla porta di Achille D'Annunzio e gli aprì un
giovane che dichiarò di chiamarsi Carlo D'Annunzio.
- Mio fratello è a letto - disse -. Ha la febbre.
Achille D'Annunzio tremava e tossiva incessantemente, sputando
sangue. Se non era grave, certamente non stava bene. Se corresse
pericolo di morire il Brigadiere non lo sapeva dire, ma era sicuro
che le sue condizioni non erano buone.
- Come ti senti ? - chiese il Brigadiere - Puoi parlare?
Achille fece cenno di no. Continuava a tossire e a sputare sangue.
Il Brigadiere cercò di capire dove fosse stato ferito, tentando di
scoprire il lenzuolo che lo avvolgeva tutto e che era tutto
insanguinato. Ma non gli fu possibile, perché il ferito,
lamentandosi, si oppose al suo tentativo e non volle che lo si
scoprisse, febbricitante com'era. Suo fratello Carlo disse che aveva
una ferita al fianco e una sotto l'omero della spalla sinistra.
- Chi è stato a sparare? - chiese il Brigadiere.
- E' stato Giovanni Mancini. Abita nella casa a fianco.
- Perché ha sparato?
- Non lo so.
* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 17 della Collana "Processi celebri teramani". |