La morte nel bicchiere (Il processo Montini - 1967)
La Corte
Martedì
14 marzo 1967, ore 8. La
mattina di m artedì 14 marzo 1967, la 17enne Anna Montini fu
svegliata, come sempre, dalla voce della madre. Vide l’ora, erano le
8. Sua madre era un orologio svizzero, la svegliava sempre alla
stessa ora, non un minuto di più non uno di meno. Come faceva?
Certamente teneva d’occhio la sveglia e, appena la lancetta arrivava
al numero 8, cominciava a chiamarla a voce alta.
- Anna… Anna... È ora! Sveglia!
Se non otteneva subito una risposta, come accadde anche quella
mattina, prendeva ad insistere.
- Anna… mammà… Svegliati, mammà…
- Ecco ma’… mo’ mi alzo.
Non erano passati due minuti che la mamma insistette.
- Anna… mammà… Dai su. Svegliati. Se te’ da spiccì la cucina e purtà
a magnà a li piggìne…
- Ecco, mammà, mi stinghe azzènne.
Levarsi dal letto era sempre una fatica, anche quando andava a
dormire abbastanza presto, Anna aveva sempre sonno la mattina. Si
lavò, si vestì, si mise gli zoccoli e andò in cucina. Rassettò
insieme con la madre, che continuava a borbottare qualche cosa a cui
non fece molta attenzione, poi tutte e due uscirono e andarono nella
pulcinaia, che si trovava in un capannone sul retro dell’abitazione.
Da quando suo padre aveva deciso di impiantare quell’allevamento di
pulcini, si faticava sempre di più e il lavoro gravava sempre di più
su tutta la famiglia. Si chiedeva sempre perché i pulcini
sporcassero tanto. Dio santo! E quella puzza… insopportabile! Mentre
pulivano le gabbie, lei e sua madre non parlavano mai molto tra di
loro e anche quella mattina non si scambiarono molte parole, solo
quelle che servivano per coordinare il loro lavoro. Finita la
pulizia, cominciò la distribuzione del granone e il pigolare dei
pulcini, come accadeva sempre, aumentò.
Erano verso le 11 quando sua madre le disse che rientrava per
cominciare a preparare il pranzo. Lei continuò a rassettare qua e là
nella pulcinaia, dove regnava sempre un grande disordine. Erano
passati non più di cinque minuti da quando sua madre era rientrata
in casa. Affacciatasi sulla porta, la chiamò e le disse di
avvicinarsi.
- Sentì un po’, odora… - la invitò, porgendole un bicchiere.
Era quello dove si preparava il decotto che prendeva per curare i
disturbi epatici di cui soffriva da tempo. Se lo preparava la sera,
ne beveva una metà e lasciava il bicchiere sul mobile del gas, in
cucina. L’indomani, levatasi, beveva l’altra metà, solitamente dopo
che avevano finito di pulire la pulcinaia. Lo aveva fatto anche
quella mattina. Cosa c’era che non andava?
- Senti questo bicchiere come puzza… - le disse sua madre.
Il bicchiere era vuoto. Sua madre aveva bevuto il decotto rimasto e,
forse dal gusto, forse dall’odore, si era accorta che puzzava. Anna
annusò il bicchiere. Sua madre aveva ragione. Puzzava in modo
incredibile. Come mai? Il decotto si era guastato? Fu la prima cosa
che pensò, ma come mai si era guastato? Non era mai accaduto prima.
Sua madre aveva un’espressione schifata sulla labbra e sul volto,
come se bere il decotto le avesse prodotto una specie di nausea.
- Qualcuno mi ha messo qualcosa dentro il decotto - disse sua madre.
- Mi ha fatto qualche dispetto per farmi morire.
- Ma che dici, ma’… - rispose lei.
A pensare di portare il bicchiere dal farmacista del paese, il dott.
Galli, fu sua madre.
- Può essere che capisce che è successo - le disse. - Ci dice che
posso fare, io l’ho bevuto. Hai visto mai che mi fa male.
Anna pensò che sua madre si preoccupava troppo. E che sarà mai?
Andare dal farmacista… Comunque ci andò. Il farmacista annusò anche
lui il bicchiere e fece una smorfia di disgusto.
- Puzza davvero - disse.
Tornò ad annusare il bicchiere, poi glielo restituì.
- Non capisco che cosa può essere - disse ancora. - Ma tua madre ha
bevuto da questo bicchiere?
- Sì, ha bevuto il decotto.
- Allora io consiglio di andare in ospedale. Così, se serve, le
fanno una lavanda gastrica.
Anna partì per tornare verso casa con maggiore preoccupazione di
quanta ne avesse avuta all’andata. Stava per arrivare, quando
incontrò un suo vicino, Attilio Di Giuliano, il quale le diede una
brutta notizia.
- Tua madre si è sentita male. È stata portata all’ospedale.
La povera Anna si sentì mancare. Scoppiò in lacrime e disse:
- Qualcuno si è impazzito in casa mia…
Cercò qualcuno che l’accompagnasse all’ospedale e, quando arrivò,
sentì dire che sua madre stava in cattive condizioni. Ma non era
vero. Era peggio. Sua madre era morta. Era arrivata all’ospedale che
era già morta. La
perquisizione in casa Montini
Al Sostituto Procuratore di Teramo Massimo Cecchini e al Comando
Stazione dei carabinieri di Giulianova pervenne nel tardo pomeriggio
di quel martedì 14 marzo 1967 un fonogramma che diceva: (N. 13/69:
residente
in via Buonpadre n. 5, casalinga. Predetta est deceduta seguito
ingestione sostanze natura imprecisata. Indagini in corso per
accertare causa decesso et eventuali responsabilità terzi. Cadavere
est disposizione codesta Autorità Giudiziaria presso Ospedale
predetto. Fto Maresciallo Casati. Trasmette Carabiniere Sebastiani."
Nel primo pomeriggio di quel martedì 14 marzo 1967 il maresciallo
Romeo Casati, comandante della Stazione dei carabinieri di
Giulianova, e il brigadiere Domenico Cistulli si portarono
nell’abitazione della morta ed effettuarono un’accurata
perquisizione. "Ore 12,30 circa odierne est giunta cadavere
presso Ospedale civile Giulianova Campanaro Santa fu Luigi e fu
Patella Filomena, nata a Giulianova il 26-3-1929, già ivi
* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 38 della Collana "Processi celebri teramani". |