L'Officina del vizio *
(Il processo Scena 2a parte – 1897/1901)
La Corte
Processi celebri teramani.
Collana a cura di Elso Simone Serpentini
26 maggio 1897: la morte di Don Gaetano Cherubini
La mattina di mercoledì 26
maggio 1897 tutta Atri apprese con forte emozione la notizia che alle ore 6,30
Don Gaetano Cherubini, esponente di una delle più note famiglie del paese e
dell'intera provincia, era stato trovato morto nel suo letto dalla moglie
Maddalena Foglietta. Aveva 54 anni.
Nel suo numero di domenica 30 maggio La Provincia di
Teramo pubblicò un commosso necrologio:
" Dopo la morte di Gabriello e Rodolfo Cherubini, la
tomba dell'illustre famiglia si apre di nuovo, per raccorvi le spoglie di
un'altra vittima. Gaetano Cherubini non è più fra i vivi ! Un morbo insidioso e
letale, che di lunga mano lo travagliava, nel mattino del 26 volg. recise
l'ultimo filo della sua esistenza.
A tanta sventura l'intera Città, dal palagio
all'umile tugurio, fu colpita da profondo cordoglio. Né la manifestazione di
questo sentimento unanime deve produrre maraviglia, quando si ricorda che
l'amato estinto (caso raro in tempi partigiani) non aveva nemici, nè meritò mai
di averli.
Ricco di censo, colto d'ingegno e nobile di cuore,
egli non fu mai nè altero, nè avido, nè taccagno; e sovvenendo sempre ai bisogni
dell'indigenza, lo fece senza fasto, anzi con quella modestia, che rende più
accetto e meno umiliante il beneficio.
Non patì d'invidia e d'ipocrisia. Non dispregiò i
meriti dei valenti, non malignò le opere dei buoni, non restò indifferente alle
sventure degli amici. E, benchè circondato di una cert'aura popolare; mai se ne
fece scudo a soprusi, o scalino a mire ambiziose. L'unica sua aspirazione era
quella di dire e di fare del bene ai suoi simili.
E come il bene dei cittadini, amò anche l'onore della
patria italiana; ed i primi disastri eritrei scossero tanto la sensibilità del
suo cuore, che risvegliando la vena lirica dei begli anni giovanili,
gl'ispirarono versi non indegni di quei poeti odierni, che vanno per la
maggiore.
Quando rifletto alla sua età non avanzata e ai lampi
d'affetto, che emanava dall'aperta serenità del suo volto, mi si stringe il
cuore a tanta perdita e dico sospirando fra me: oh come ha sbagliato la morte
nella scelta della sua vittima ! Ma quando poi penso alle gare parassite, che
oggi turbano ogni ideale dell'umano consorzio, alle basse calunnie che scalzano
le più salde riputazioni, e a tante altre traversie della vita, a cui mal può
reggere la vecchiaia, che squallida e fiacca si avanza, allora non oso più
rampognare il destino, se talvolta si compiace recidere la pianta, prima che
appassisca.
Riposi dunque in pace il suo spirito. E se la fama
non ha voce per esaltare le virtù pacifiche d'un cittadino dabbene, supplisca al
suo silenzio il pianto degli amici, in modo che, congiunto a quello dei più
intimi parenti, induca il giovine figlio dell'estinto a far sì che la memoria di
Gaetano, accanto a quella di Gabriello e Rodolfo, diventi santa ed onorata
tradizione domestica. Un Atriano "
Gabriello Cherubini
Il Gabriello Cherubini citato nel necrologio
de La Provincia di Teramo era morto, compianto da tutti gli atriani cinque anni
prima, nel 1892, ed era stato effettivamente non solo il più prestigioso
esponente della famiglia Cherubini, ma uno dei più noti figli di Atri, in tutto
il territorio nazionale, per le rare qualità del suo ingegno di filosofo e
storico. Nato nel 1817, egli aveva brillato fin da giovanissimo, coltivando
studi eletti, prima in Atri, poi a Chieti, dove aveva frequentato corsi di
filosofia, e poi all'Aquila, dove aveva frequentato corsi di giurisprudenza
civile e penale. Laureatosi a Napoli nel 1842 in lettere, filosofia e
giurisprudenza, non aveva voluto dedicarsi all'avvocatura, ma ad una serie di
studi e di pubblicazioni dotte, che avevano proiettato la sua fama in campo
nazionale, facendolo apprezzare da personaggi quali Tommaseo, Settembrini,
Gregorovius, Giorgiani e Momsen.
Egli era stato così chiamato a far parte di
prestigiose accademie, quali l'Istituto Archeologico di Roma, i Georgofili di
Firenze, la Consulta Araldica e l'Ateneo Veneto. Era poi diventato dal 1848 uno
degli insegnanti più prestigiosi del Seminario di Atri, appena riaperto, e, in
seguito, Preside e Direttore dell'Orfanotrofio di Atri
Non aveva disdegnato dopo l'unità d'Italia, di
partecipare alla vita politica ed amministrativa del suo paese, eletto Sindaco
di Atri e, più tardi, Consigliere Provinciale.
La chiara fama dell'illustre suo rappresentante aveva
dato molta risonanza a tutta la famiglia Cherubini, che, tra l'altro, disponeva
di ricchezze ingenti e di proprietà terriere sterminate.
Con la morte di Gaetano, che era suo nipote, la
famiglia, che aveva già perso Rodolfo e Gabriello, si vedeva ora privata di un
altro suo componente.
"Una cert'aura popolare"
Il necrologio pubblicato da La provincia di
Teramo, aveva accennato, alquanto oscuramente, ad una "cert'aura popolare" e,
più sotto, sempre oscuramente e alquanto genericamente, a "basse calunnie che
scalzano le più salde riputazioni", alle quali mal può reggere la vecchiaia.
Effettivamente la figura di Don Gaetano Cherubini era
stata avvolta, in vita, da morbose insinuazioni. Si dava per certo dalla
pubblica opinione che egli fosse uno di quelli che, come dicevano le persone
colte, Dante aveva condannato nel settimo cerchio dell'Inferno, "del medesmo
peccato al mondo lerci". Le persone comuni, che non conoscevano Dante, dicevano,
più esplicitamente che Don Gaetano Cherubini era stato un pederasta attivo.
La sua morte riportò alla memoria di tutti, ad Atri,
un tragico, quanto irrisolto, caso avvenuto ben quattordici anni prima. Un
giovane di appena 12 anni, Luigi Scena, scomparso nella tarda sera del 17
gennaio 1883, era stato ritrovato morto nel pomeriggio del 2 febbraio, il giorno
della Candelora, parzialmente immerso nell'acqua di un fosso che si trovava a
quel tempo nello slargo di Capo d'Atri. Sul corpo erano state riscontrate una
ferita alla testa, che aveva causato la morte per commozione cerebrale, e segni
certi di uno stupro violento, commesso da più persone.
Allusioni e nuovi sospetti
Quell'antica vicenda veniva ora richiamata alla
memoria, in quanto non era mai stato possibile scoprire gli autori del misfatto,
per il quale il principale sospettato era stato proprio Don Gaetano Cherubini.
La sua morte diede nuovamente lo spunto ad una infinità di allusioni, di
sospetti, di vere e presunte rivelazioni ed anche a qualche riflessione.
C'era, per esempio, chi si chiedeva come mai, nonostante egli fosse stato
sospettato fin dall'inizio, c'erano stati ben due processi, diverse istruttorie,
curate da diversi istruttori, pretori e giudici, tante deposizioni,
dichiarazioni, ritrattazioni, ma non era mai stato interrogato. Non c'era mai
stato uno solo tra Carabinieri, Delegati di P.S. e inquirenti di vario titolo e
grado che avesse deciso di porre anche solo qualche semplice domanda alla
persona che, più di ogni altra, fin dall'inizio, era stata sospettata di essere
l'autore o un complice di un misfatto così terribile.
Don Gaetano Cherubini non era stato mai interrogato,
mai citato, mai invitato a comparire. Non aveva mai deposto, testimoniato o
rimesso un solo rigo alla Giustizia. Ora che era morto, qualcuno cominciò a
dire che era grazie a lui che alcune persone di Atri avevano mutato condizione,
mostrando ed esibendo una ricchezza che prima non avevano.
La sua morte riportò a galla quelle antiche accuse
contro di lui e ridiede notorietà a fatti e circostanze che alcuni dei nuovi
funzionari pubblici che si trovavano allora ad Atri non conoscevano. E tra
costoro cominciò a nascere la curiosità su quella tormentata vicenda relativa ad
un misfatto orrendo, sul quale non era stata fatta ancora piena luce. Tra i più
curiosi c'era il nuovo Comandante della Stazione dei Carabinieri, il Brig.
Antonio Bordin, un veneto di 36 anni nativo di Vigonza, solerte, attento e,
soprattutto, assai perspicace.
La lettera anonima del 17 ottobre 1897
La mattina di lunedì 18 ottobre 1897 il
Procuratore del Re di Teramo aprì una lettera a lui indirizzata e vide che si
trattava di uno scritto anonimo, datato "Atri, 17 ottobre 1897".
La grafia era pesante, ma chiara e leggibile,
l'inchiostro usato spesso e abbondante. Lo scritto cominciava con queste parole:
"E' tornato nelle mani della Giustizia il misterioso
imputato dell'orribile misfatto commesso sul povero ragazzo Scena, un tale
Vincenzo Parente. Ma costui e la moglie Margherita Centorame sono complici di
altri fatti consumati nella solita officina del vizio e del delitto protetto dal
denaro.
Un altro complice principale dei delitti svolti in
questa famiglia è un ex maestro, certo Giovanni Pacini, persona di grande
astuzia, ha perduto la carriera per favoreggiare gli scellerati. Onnisciente di
tutto, abilmente scambia a virtù il vizio e a pietà i delitti di quella casa.
Ecco come si spiega in una famiglia eccessivamente avara l'indifferenza per
parecchie centinaia di mila lire sperperate da costui, e poi vuol far vedere che
sieno garanzie ed altro."
* Riportiamo l'incipit del libro, che è
stato pubblicato come n. 7 nella Collana "Processi celebri teramani".
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