Il pozzo della vergogna
(Il processo Di Pietro - 1952)

La Corte
Processi celebri teramani
Collana a cura di Elso Simone Serpentini

 
 

La scomparsa di Sabatino Di Pietro

 

    Questa volta avevano proprio esagerato. Già l'anno prima avevano innalzato un albero enorme, ma quello di quest'anno era veramente gigantesco. Il maresciallo Nicola Bruno, comandante della stazione dei carabinieri di Bellante, pensò che questa volta l'albero della libertà non ce l'avrebbero fatta a tirarlo su e piantarlo nella buca, già pronta. Era stanco e non dormiva da due notti. Aveva accompagnato, di rinforzo con gli altri due carabinieri della sua stazione, il corteo del trasporto delle spoglie di San Gabriele dal Santuario di Isola del Gran Sasso a Teramo e poi aveva svolto il servizio d'onore. Era tornato a Bellante quella stessa mattina, senza aver chiuso occhio per tutta la notte, e si era dovuto recare subito a Ripattoni per presenziare a quella cerimonia dell'albero alla quale i "rossi" tenevano tanto. Quell'appuntamento annuale, con il quale veniva festeggiato il primo maggio, la festa dei lavoratori, attirava gente da tutta la provincia e l'Arma doveva garantire l'ordine pubblico.

    Questa volta non ce l'avrebbero fatta. L'albero era troppo grosso. Se lo disse per tutto il tempo, finché durarono gli sforzi per sollevare con le funi quell'enorme olmo, ma dovette ricredersi quando lo vide finalmente conficcato nel terreno, bello, altissimo, imponente. Poi uno scoiattolo dalle forme umane si arrampicò svelto tra i rami frondosi fino alla cima, dove sistemò una bandiera rossa tra gli applausi della piccola folla radunata sotto.

Finiti i festeggiamenti, finito il discorso del Sindaco, il maresciallo risalì sulla camionetta guidata dall'appuntato Onesto Mancini e

ripartì per Bellante, dove giunse intorno alle 11,30. Si era seduto alla sua scrivania da pochi minuti, quando l'appuntato gli annunciò la visita di un giovane. Lo riconobbe appena lo vide. Era Giuseppe Di Pietro, che tutti chiamavano Peppino. Faceva l'apprendista calzolaio e abitava con la sua famiglia a pochissimi chilometri da Bellante, in aperta campagna. In famiglia erano tutti di statura assai bassa, così tutti li chiamavano "Li mammucce".

     - Dimmi, Peppì, che è successo? - chiese il maresciallo.

     - Devo denunciare la scomparsa di mio padre Sabatino.

    Il maresciallo Bruno conosceva poco il padre di Peppino, che, al contrario del figlio, si vedeva poco in paese e non lasciava quasi mai la campagna. Peppino, nonostante avesse poco più di venti anni, era un giovane assennato e non aveva mai lasciato pensare che fosse poco affidabile. Perciò le sue parole andavano prese sul serio. Il maresciallo gli chiese il perché di quella denuncia.

     - Mio padre è partito da casa la sera di mercoledì, giorno 29 aprile, per andare a casa della madre, a Villa Penna. Da allora non è più tornato e nessuno lo ha più visto.

     - Perché è andato dalla madre ?

     - Per invitarla alla festa dell'8 maggio.

     - Era previsto che tornasse a casa quella sera stessa?

     - Sì.

     - Quando è partito, aveva del denaro con sé?

     - Sì, aveva una ventina di mila lire.

     - Si è mai allontanato da casa per più giorni?

     - No. Mai.

     - C'è stata qualche discussione in famiglia? Qualche cosa che lo ha indotto ad allontanarsi?

     - No. Nulla.

     - Ha mai mostrato propositi suicidi?

     Giuseppe Di Pietro sembrò perplesso alla domanda, ma poi rispose con sicurezza:

     - No. Mai.

     - Può essere che sia andato da qualche parente.

     -  Abbiamo già fatto delle ricerche, presso alcuni parenti ed alcuni amici, ma nessuno lo ha visto e nessuno ne sa niente.

     - Allora intendete sporgere regolare denuncia di scomparsa ? - chiese il maresciallo Bruno.

     - Sì.

     Il maresciallo si mostrava restio a formalizzare la denuncia. Gli sembrava che fosse troppo presto per farla.

     - Cercatelo ancora - disse.

     Peppino fece un'alzata di spalle:

     - Lo abbiamo cercato.

     - Chiedete ancora in giro. E cercate anche nei tanti pozzi che si trovano sui fondi agricoli.

Chissà perché il maresciallo Bruno aveva pensato ad un pozzo. Forse perché era la prima cosa che aveva notato, quando era arrivato a Bellante ed aveva cominciato a perlustrare le campagne per ragioni di servizio. Non c'era appezzamento di terreno coltivato sul quale i contadini non avessero scavato un pozzo per attingere acqua. Si trattava di pozzi non molto profondi, ma insidiosi. Non era impossibile caderci dentro, per un incidente o per... ubriachezza. Erano anche abbastanza profondi da potervi nascondere un cadavere. Perché, poi, proprio un cadavere? Il maresciallo non sapeva spiegarsi perché prima aveva pensato ad un ubriaco che sbadatamente, per un incidente, fosse caduto nel pozzo e subito dopo ad un uomo ucciso e buttato dentro l'acqua. Aveva un'immaginazione troppo fervida? Non c'era alcuna ragione che potesse indurre a pensare subito ad un delitto. Perché poi un delitto?

     Il maresciallo si obbligò a pensare che qualcuno in un pozzo poteva finirci dentro per un incidente, per un malore, per una disgrazia. Ma non riusciva a scacciare dalla mente l'immagine di un pozzo. Non lo disse a Peppino. Anzi, cercò di tranquillizzarlo, di dare poca importanza alla scomparsa di suo padre. Gli disse che non era passato poi molto tempo da quando suo padre Sabatino si era allontanato di casa. Dalla sera di mercoledì a quella mattina di venerdì... un giorno e mezzo, in fondo due notti.
 
 

* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 19 della Collana "Processi celebri teramani". 

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