Capodanno di sangue
(Il processo Recchia - 1877)

La Corte
Processi celebri teramani
Collana a cura di Elso Simone Serpentini
 
 

     Presidente: - La parola è all'On. Pubblico Ministero

     P.M.: - Egregio Signor Presidente, Signori della Corte, Signori Giurati. Quante volte io mi sono accinto in quest'aula sacra alla giustizia a spendere la mia povera voce a sostegno di una legge violata, e mi son trovato di fronte a cause gravi, mi sono sempre peritato, perché sapevo di combattere coi membri di un foro, ricco d'intelligenza, di dottrina e molto addentro nelle malizie forensi. Non è dunque a meravigliarsi se oggi mi perito nel trovarmi innanzi ad un atleta del diritto, della parola, lustro e gloria del foro italiano e della scienza penale, ad Enrico Pessina. Se non che, o Signori Giurati, in questo ineguale certame, mi assicura la coscienza di difendere una causa giusta; del forte contro il debole, dell'oppressore contro l'oppresso. Ché se la difesa della giustizia e della verità rimanesse per mancanza di dialettica e di eloquenza imperfetta, voi colla vostra integrità, colla vostra esperienza, col vostro senno e colla vostra indipendenza supplirete alla pochezza del mio ingegno. Lo dirò francamente a mio modo di vedere la causa presente non esce dalla sfera delle comuni, e se questa causa farà registrare fra i processi celebri di questa Corte, si dovrà unicamente alla dottrina, all'eloquenza del mio illustre contraddittore.

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     Il Procuratore del Re, Alessandro Ristori, Pubblico Ministero nel processo contro Francescpaolo Recchia, di cui sabato 22 dicembre 1877 sta tenendo l'arringa d'accusa nell'aula della Corte d'Assise di Teramo, è destinato a diventare celebre solo perché l'arringa difensiva sarà pronunciata da Enrico Pessina.

     L'On. Prof. Enrico Pessina è, nel 1877, uno dei più celebrati, se non il più celebrato, penalisti italiani. E' un autentico mostro sacro delle aule di giustizia, uno scienziato del diritto penale, un'autorità indiscussa. L'aula della Corte d'Assise di Teramo per l'occasione è piena, stracolma dicono i resoconti giornalistici, perché sono afflui-ti numerosi avvocati da tutta la regione, per ascoltare proprio lui, l'Avv. Pessina.

     L'avv. Pessina è un autentico mattatore, che s'impegna in un teatro di provincia, per far muovere gli esili fili di una storia giudiziaria che non è, di per sè, una storia. Il delitto di cui si tratta, e per il quale solo l'amiciziaa con il giovane avvocato teramano Gustavo De Marco, zio dell'imputato, ha portato l'Avv. Pessina da Napoli a Teramo, è un delitto atroce, che ha privato una sposa dello sposo ad appena tre mesi dal matrimonio e proprio nel giorno del "cariaggio". Ma è sempre un delitto "povero", scialbo, senza quegli intrighi e quegli aspetti che rendono "particolare" un processo e tale da imporlo alla curiosità della gente e all'attenzione della stampa.

     L'attesa è però grande e tutte le fasi iniziali del processo, nella prima giornata di venerdì 21 dicembre e nella prima parte della seconda, di sabato 22 dicembre, sono state consumate nell'ansia di ascoltare finalmente la celebrata parola dell'augusto ospite.

     E finalmente il momento tanto atteso è arrivato. E l'attesa è cresciuta ancora di più, perché anche il rappresentante della pubblica accusa ha fatto un esplicito riferimento a quella forza argomentativa che si è predisposta in anticipo a fronteggiare. E ha detto in definitiva che anche un materiale grigio e scialbo, come quello del processo che si sta celebrando per un banale delitto commesso per futili motivi, può diventare aureo nella trattazione difensiva che ne farà un autentico principe del Foro.

     Ed ecco che quelle banalità, quella storia di paese e quelle vicende, legate ad un gesto inconsulto di un giovane di venti anni, che presentano pochi spunti per una difesa appassionata e avvincente si trasformano d'incanto in una serie di interrogativi inquietanti, di quesiti dalla doppia, dubbia risposta, in un compiaciuto ed ammirato ascolto dell'incalzante fluire delle parole.

Capodanno di nozze

     Il primo gennaio 1877, alle ore 12 parte da Cesa di Francia il corteo di nozze, il "cariaggio" di Emidio Plebani e di Filomena D'Archivio. Gli sposi sono diretti al paese di lui, Trignano. Conduce il carro, come vetturino, Vincenzo Scipioni.

     Gli sposi non sono giovanissimi, considerando tanto più che all'epoca ci si sposa molto più giovani. Ma il rapporto tra Emidio e Filomena ha dovuto superare l'ostacolo di qualche difficoltà economica, conseguenza della morte del padre Fedele. Lui ha 35 anni, lei 33. Si sono sposati tre mesi prima ed è consuetudine che lo sposo porti la sposa nella sua nuova casa dopo qualche tempo dal matrimonio civile e religioso celebrato nel paese della sposa.

Per Filomena D'Archivio il giorno tanto atteso è arrivato il giorno di Capodanno. L'accompagna a Trignano, dove vivrà da adesso in poi accanto al marito, il fratello più giovane, Gaetano, che è stato spesso a Trignano e che è stato il tramite per la conoscenza dei due sposi.

Emidio Plebani ha vestito il suo abito migliore: una giacchetta di lana, di colore turchese, pantaloni non di lana dello stesso colore, una camicia bianca e colorata di turchino soltanto sul collo. Indossa una piccola sciarpa, che gli serve anche per reggere i calzoni. Ha ai piedi calze bianche e righe turchine, scarpe di cuoio marrone in buono stato.

     Per tutti a Cesa di Francia Emidio è "lo sposo", come Filomena è "la sposa" a Trignano, accolta con piacere e con gioia nella casa del marito. Gli sposi arrivano a Trignano alle ventidue ore italiane, corrispondenti alle cinque del pomeriggio. Gli sposi Plebani sono legati alle consuetudini e ai costumi locali. La sposa resta a casa a preparare il pranzo nuziale per gli amici e i due uomini, il marito e il fratello escono, recandosi nelle case degli amici, per invitarli. L'ultima casa che visitano è quella di Candeloro Di Carmine, che li invita a mangiare e a bere qualche cosa. Poi escono per tornare casa.

     Sono da poco passate le 24 ora italiana quando Emidio Plebani e Gaetano D'Archivio passano davanti alla Chiesa. Proprio sulla piazzetta antistante la chiesa si trova Francescopaolo Recchia, fu Emidio, anni 20, che sta discorrendo con alcune persone, tra cui il diciottenne Giovanni Plebani.

     D'Archivio lo saluta, ma il Recchia, afferratolo per il petto, lo urta verso il muro e gli dice:

     - Ecco un altro guappone.

     Il D'Archivio si avvicina a Emidio Plebani,per lamentarsi di ciò che gli è successo, ma Emidio lo consiglia di avere prudenza con Pallante, come è soprannominato il Recchia. Allora Recchia, senza una ragione apparente, si rivolge al Plebani e gli dice:

     - Che fai l'avvocato ? Adesso ci vedremo le facce nostre... Vi frego io a tutti e due.

     Il Recchia rientra a casa, che sta vicina alla chiesa e ne esce armato di un revolver a moto perpetuo e a sei colpi. Spara subito due colpi contro il D'Archivio e gli altri quattro all'impazzata in direzione del Plebani. D'Archivio cade per terra, mentre il Plebani, ferito al fianco sinistro e sanguinante, comincia a correre allontanandosi dalla piazzetta. Ma, fatti una trentina di passi, cade a terra anche a lui.

Pochi minuti dopo Filomena, che già attendeva con trepidazione il ritorno del marito e del fratello, vede venire a casa sua un gruppo di persone che portano tra le braccia il marito, ferito e insanguinato. Filomena comincia a piangere e a disperarsi, mentre Emidio Plebani viene adagiato sul letto e viene soccorso alla meglio.

     Ma le condizioni del ferito vanno peggiorando e Filomena continua a disperarsi, levando alte grida. Così viene portata fuori da alcuni amici e parenti del marito. Le dicono che anche il fratello Gaetano è stato ferito e che ora si trova a casa di Candeloro Di Carmine, doce lo stanno curando. E' ferito ad una coscia e ad un braccio. Se la caverà. Ma il marito invece peggiora e poco dopo la mezzanotte le dicono che è morto.

     Quando tra una crisi di disperazione e l'altra le dicono che a sparare è stato un certo Francescopaolo Recchia, soprannominato Pallante, lei dice, sconvolta:

     - E perché ? Io non lo conosco.

Intanto in tutto il paese, dove nelle case si sta ancora festeggiando il Capodanno, si è sparsa la notizia della sparatoria e la gente ne riporta una grande impressione.

     Un altro fratello del D'Archivio corre subito a Isola, dove arriva intorno alle dieci di notte. Non sa ancora che il cognato è morto e ai carabinieri della stazione di Isola del Gran Sasso, dove si è recato, parla di un duplice ferimento, ai danni del fratello Gaetano e del cognato Emidio.

Il Brigadiere Giacinto Frattini e i carabinieri Zaccaria Paolucci, Fiore Fusilli e Luigi Dominici si recano subito a Trignano, dove giungono intorno all'una e mezza di notte, e cominciano le prime ricerche del feritore, che però non si trova. E' fuggito. A casa sua i carabinieri sequestrano il revolver con il quale ha sparato. E' un revolver a moto perpetuo, a sei colpi, con il manico di legno, lunghezza della canna mm. 71. Su una fascetta in acciaio è sovrascritta, incisa, il nome della marca del revolver: LEFAUCHEUX.  Il verbale dei carabinieri redatto in data 2 gennaio riporta, tra l'altro, che uno dei colpi sparati dal Recchia ha colpito leggermente la scarpa del piede destro di Giovanni Plebani, ma senza produrre ferite.

     La mattina del 2 gennaio, alle ore 9, il sindaco di Isola del Gran Sasso, De Angelis, manda un avviso urgente al Pretore di Tossicia, Giulio dei Conti Cervini, e gli dà la "dispiacevole notizia" che nel corso della notte a Trignano è avvenuto un duplice ferimento, da cui è conseguito la morte di una persona.

     La stessa mattina il Pretore dispone immediatamente per i primi interrogatori e per le perizie mediche sul ferito e sul morto.

 

Una causa non volgare né facile

 

     Corte di Assise di Teramo, processo contro Francescopaolo Recchia, di anni 20, per omicidio volontario nella persona di Emidio Plebani, di anni 35, e di mancato omicidio nella persona di Gaetano Di Archivio, di anni 29. Udienza del 23 dicembre 1877. Il Pubblico MInistero, il Procuratore del Re Alessandro Ristori, ha appena terminato la sua arringa d'accusa.

Presidente: - La parola è all'illustre difensore.

     Avv. Pessina: - Onorevole Signor Presidente, Signori della Corte, Signori Giurati. Fu pura benevolenza, fu pura cortesia dell'egregio magistrato che rappresenta il P.M. e alla cui splendida parola debbo un ringraziamento per avermi indirizzato encomi superiori, certo, al mio ingegno, alle mie deboli forze ed al mio poco valore, se disse che questa causa di semplice e volgare si sarebbe fatta grande e celebre dalla mia venuta in questa città. Dio sa che cosa voi aspettate dalla mia parola dopo tanta raccomandazione !

Però mi affretto a dirvi che quelle furono parole di benevolenza e cortesia, e mi affretto a dirvelo, anche perché quelle parole potrebbero nuocere alla causa ch'io difendo. Io nonverrò a sciorinarvi astruse dottrine, né ho retenzione di affascinarvi con artifizi di eloquenza; io porterò innanzi a voi il risultamento dei miei studi sul processo, il risultamento dei fatti che si sono svolti in questo dibattimento.

     La causa di cui avete a decidere non è volgare, non è facile; è invece una delle più difficili che siansi presentate alla mente dei Giudici, imperocché non è da investigare se il giovane accusato sia l'autore del reato, ma sibbene se al momento in cui lo commise era nel possedimento pieno delle forze dello spirito per rispondere di quello che fece.

     Egli è d'uopo che con tutta la vostra attenzione, con tutta la scrupolosa coscienza ascoltiate la parola della difesa; egli è d'uopo che nella fermezza della vostra imparzialità, confrontando le argomentazioni della difesa con quella dell'accusa, ne facciate eemergere un verdetto giusto e spassionato.

Debbo ancora una parola di ringraziamento al cospicuo ForoTeramano, che mi accolse come fratello, e sarò ben lieto di esser tale,e di ricordare che un giorno feci parte di esso e mi sarà non lieve vanto che circondato da tanto affetto ho avuto l'onore di portar la mia povera parola innanzi alla Giustizia teramana.

 

I primi interrogatori

 

     Il Pretore di Tossicia già nella mattina del 2 gennaio procede ai primi interrogatori, ascoltando Filomena D'Archivio, la moglie di Emidio Plebani, il ferito, Gaetano D'Archivio, Giovanni Plebani,, Candeloro Di Carmine, Domenico Di Vincenzo,Luigi Di Carmine, Francescopaolo Di Vincenzo.

Filomena D'Archivio è piangente e disperata. Racconta di essersi sposata tre mesi prima e proprio il giorno di Capodanno era venuta sposa a Trignano con il "cariaggio", cioè con il corteo , con il quale è costume che parenti ed amici accompagnino la sposa dalla paterna alla casa dove vivrà insieme con il marito.  Ha sentito dire che il Recchia ha sparato, ma lei non lo conosce.

     -Mi ha ucciso il marito e ferito il fratello - grida Filomena, disperandosi - Ora mio fratello Gaetano sta a casa di Candeloro di Carmine.

Continuando a disperarsi dice:

    - Mi ha tolto mio marito che era per me la mia unica esistenza e sussistenza.
 

* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 11 della Collana "Processi celebri teramani".

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