Duplice delitto
nella Locanda Scarpone *
(Il processo Scarpone – 1881)
La scoperta del duplice delitto
Quasi all'alba di lunedì
17 gennaio 1881 un giovane fornaio, Pasquale Di Carlo, abituato a svegliarsi
presto per il suo lavoro, bussa alla porta della Locanda Scarpone, in via
del Corso, a Teramo, all'angolo con via del Carmine. Deve consegnare la
consueta provvista di pane.
La cesta è però
più grossa del solito e più ricolma. Quella mattina devono
partire i coscritti per Giulianova e tutte le locande di Teramo hanno ordinato
un maggior quantitativo di pane, prevedendone uno spaccio più grande.
I coscritti dovranno fare una lunga marcia, in una sola tappa, da Teramo
alla stazione di Giulianova, con lo zaino sulle spalle. Lo zaino deve essere
pieno ed è meglio che contenga più pane di quanto non ne
consegnino in caserma.
Il fornaio si sorprende di
non trovare già aperta la porta della locanda Scarpone. A quell'ora,
solitamente, Francesca Scarpone, che gestisce la locanda, insieme con il
figlio Luigino, è già in piena attività, a pulire,
a preparare il locale per i primi avventori, quelli che stanno per recarsi
al lavoro. Perché la "Locanda Scarpone" è anche un'osteria,
anzi è più un'osteria che una locanda. E' uno dei locali
più malfamati della città, sordido e mal frequentato da avvinazzati,
perdigiorno e prostitute.
Nell'osteria si vendono vino
e pane, si può mangiare e ogni tanto vi alloggia qualcuno. Vi si
fermano soprattutto forestieri, non ricchi abbastanza da potersi permettere
un letto più comodo e un riparo più confortevole. Ed è
solo perché ogni tanto vi alloggia qualcuno, in uno di quei due
squallidi e umidi vani a pianterreno, che l'osteria passa per una locanda,
la "Locanda Scarpone". C'è scritto anche sull'insegna sbiadita posta
sull'entrata: "Locanda e vendita di vino di Francesca Scarpone".
Nessuno risponde ai richiami
di Pasquale, che torna a bussare alla porta. La spinge, e si avvede che
essa è socchiusa. Forse la Scarpone è appena uscita per qualche
commissione, pensa, e ci sarà dentro il figlio Luigino, che poi
proprio il figlio non è. Si tratta infatti del figlio adottivo,
poco più che diciottenne, di cui la donna non fa altro che lamentarsi
per la sua poca voglia di lavorare che ha e per l'inclinazione al vizio
della bottiglia.
Il fornaio spinge la porta,
chiama a voce alta:
- Luigino ! Luigino !
Nessuno risponde. La stanza
è buia. La locanda ha due stanze: in una, sulla quale dà
la porta di entrata e fa anche da cucina, dorme solitamente su un letto
matrimoniale la Scarpone. Luigino dorme invece nella stanza più
interna, nella quale oltre al suo letto ci sono altri due letti che sono
da affittare.
Pasquale chiama ancora:
- Luigino ! Luigino !
Nessuno risponde ancora. Il
giovane avanza nel buio, incespica su uno sgabello, si avvia verso la stanza
interna, che sembra illuminata dl lieve chiarore di un lume, almeno a vedere
attraverso la porta socchiusa. Uno sguardo verso terra e gli si presenta
uno spettacolo terribile. Sulla soglia della porta che mette alla camera
del figlio giace semisvestita, distesa in una pozza di sangue, la Scarpone.
E' morta e presenta numerose ferite da arma da taglio.
Pasquale si avvicina, riesce
a dare uno sguardo oltre quel corpo che giace a terra all'interno della
seconda stanza e scorge ai piedi d'uno dei tre letti, tra il letto e il
muro, il figlio della donna, Luigino, completamente nudo e crivellato di
ferite, che sanguinano ancora. Una ferita in particolare lo colpisce: si
trova quasi alla convessura delle labbra e forma sulla bocca del morto
una specie di ghigno beffardo.
Il fornaio caccia un urlo,
si ritrae e si precipita in strada, gridando al soccorso. La Locanda Scarpone
si trova sul corso di Porta Madonna, a poco distanza dalla Porta, dove
c'è la garitta delle guardie daziarie. E' all'angolo della via del
Carmine, che dal Corso porta alla caserma dei reali Carabinieri, anch'essa
poco distante.
E' qui che corre trafelato
Pasquale Di Carlo dando l'allarme. Il Maresciallo Antonio Loriga, Comandante
della Stazione, è già in caserma e riceve la denuncia. Corre,
insieme con due Carabinieri, presso la locanda Scarpone e attende l'arrivo
del Giudice Istruttore presso il Tribunale di Teramo, Giuseppe Magaldi,
che ha fatto subito avvertire.
Sono le 7,45 quando il Giudice
Istruttore riceve la formale denuncia. Fa subito mandare a chiamare il
Procuratore del Re, Carlo Santi, e il cancelliere Carlo Bonviveri e insieme
a loro si reca anche lui davanti alla locanda Scarpone. Accorrono altri
Carabinieri, guardie di P.S., guardie municipali. Sul posto sono accorsi
anche il Maresciallo Loriga e il Dottor. Pasquale Siniscalchi, che il Giudice
Istruttore nomina perito d'ufficio e fa giurare sul posto prima di entrare
nella locanda.
La scena del delitto
La prima ricognizione degli
inquirenti permette di accertare che le due vittime sono state uccise dopo
essere state svegliate all'improvviso durante la notte. Hanno cercato di
difendersi, ma non ci sono riuscite. Nel primo vano, adibito a cantina
e vendita di vino, ci sono un letto a due piazze e alcuni mobili. Tutto
è confusione e disordine. Ci sono tre casse, tutte e tre aperte,
e qualcuno deve avervi frugato dentro. Parte del loro contenuto è
a terra. Si vedono delle matasse di filato e alcuni panni bianchi, qualche
vestito, un salvadanaio di creta vuoto, con accanto alcune monete di bronzo.
Vengono contate. Ammontano a cinque lire e novanta centesimi. Sopra una
delle due casse c'è un calzone.
In questo stesso vano c'è
tutto l'occorrente per la vendita al minuto del vino. Su una panca c'è
una botte e su un'altra varie bottiglie, tre delle quali contengono vino
bianco. Tutte le altre sono vuote. Sulla stessa panca ci sono due lumi
ad olio, ambedue spenti. La stanza è ingombra di mobili, tutti necessari
all'esercizio della cantina. Al centro un braciere e in un angolo una vecchia
poltrona.
Appesi al muro, proprio sopra
il letto dove dormiva Francesca Scarpone, gli inquirenti notano un congedo
militare intestato a tale Francesco Benedetti, che apparteneva alla Sesta
Compagnia del Corpo Regia Artiglieria, rilasciato in data 16 settembre
1860, e una medaglia militare su cui compare la scritta "Post fata resurgo".
Accanto alla porta di comunicazione
tra il primo e il secondo vano, disteso a terra si trova il cadavere di
una donna che gli astanti identificano per Francesca Scarpone, di anni
60. Indossa soltanto una camicia e le calze. Alle orecchie porta piccoli
pendenti e ad un dito un anello d'oro.
Nella seconda stanza gli inquirenti
scorgono tre letti, uno ad una piazza e gli altri due ad una piazza e mezza.
A terra, accanto ad uno dei letti, c'è il cadavere di un giovane,
completamente nudo e crivellato di colpi di arma da taglio, tutte ancora
sanguinanti. E' Luigino, il figlio adottivo di Francesca Scarpone. Il letto
accanto al quale giace il corpo è allagato di sangue e macchie di
sangue sono anche non solo sul pavimento, ma anche sul letto vicino. Quest'ultimo
ha soltanto il paglione e il suo stato rivela che qualcuno vi ha dormito
nel corso della notte.
Sopra l'altro letto non si
rileva nessuna macchia di sangue. Le numerosissime ferite sul corpo delle
vittime, ad un primo esame sommario, appaiono alcune prodotte da un coltello
assai affilato, altre come da un punteruolo acuminato. E sono veramente
tante. La Provincia di domenica 23 gennaio 1881, dando notizia del terribile
duplice delitto, scriverà: "Pare che su quel corpo vi si fossero
divertiti perché non v'era rimasta parte che poteva dirsi illesa".
Un particolare è raccapricciante:
da una profonda ferita nella parte anteriore del corpo di Luigino si nota
la fuoruscita di un'ansa intestinale.
* Riportiamo l'incipit del libro,
che è stato pubblicato come n. 1 nella Collana "Processi celebri
teramani".
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