La Squartatrice *
(Il processo Monteverde – 1952)
 

Sabato 30 giugno 1951

     La corriera fu eccezionalmente puntuale al suo arrivo a Teramo. Quel giorno, sabato 30 giugno 1951, non erano molti i viaggiatori provenienti da Roma. Molti erano saliti a L'Aquila, per lo più giovani e Giorgio Gino Urbani, salito anche lui a L'Aquila, aveva scelto per sè un posto tra i più vicini all'autista, per ammirare ancora l'aspetto selvaggio della strada e del passo delle Capannelle, che l'automezzo pubblico avrebbe affrontato ancora una volta, con qualche incertezza nelle curve più strette e nelle salite più aspre.
    Gli piaceva soffermare lo sguardo sulle fitte boscaglie, sulle pietraie scoscese delle zone più aspre, dove immaginava ancora la presenza dei briganti, che quelle zone avevano infestato nel 1800. Quegli alberi fitti, quei paesaggi duri gli ricordavano i giorni passati come sottufficiale dei Carabinieri a dare la caccia ai ladri e ai delinquenti, e quelli visti durante la guerra, a partire dal 1940, quando era stato richiamato ed anche lui era dovuto andare a rischiare la vita ogni giorno.
     L'Urbani amava scegliersi sempre un posto nella parte anteriore della corriera quando veniva a Teramo, a trovare la zia Splendora. Lo faceva sempre. Ricordava di averlo sempre fatto, anche quando era più giovane e partiva da Rieti con più entusiasmo di adesso.
    Arrivato a 52 anni, Giorgio Gino Urbani, più noto semplicemente come Gino, aveva scoperto di essere particolarmente ansioso e di esserlo diventato ancora di più da quando aveva saputo della malattia del figlio Urbano, che in famiglia chiamavano Urbanino.
    Sapere che il figlio avrebbe dovuto affrontare la terribile prova della sfida alla tubercolosi che lo aveva colpito, era stato un colpo difficile da superare. Tanto più che anche la moglie, Pierina, aveva mostrato una profonda prostrazione all'annuncio dato dal medico curante che Urbanino aveva contratto una malattia polmonare così terribile. Nonostante Urbanino non fosse il loro figlio naturale, ma un nipote adottato, sia Gino che Pierina avevano sempre avuto molto affetto per lui. Urbanino era il figlio naturale di un fratello di Gino, nato il 6 agosto del 1935. Quando Gino e Pierina si erano sposati martedì 23 novembre 1937, e avevano così deciso di dare una consistenza giuridica ad una relazione iniziata qualche anno prima, avevano pensato subito di adottare quel ragazzino rimasto senza padre, nonostante lei avesse già un figlio, già grande, di 19 anni, nato da una precedente relazione, senza matrimonio, con quello che era stato il suo primo amore, al suo paese di origine.
     Pierina Slunter, figlia di Antonio e Caterina Dus, era nata a Savogna, in provincia di Udine il 24 maggio del 1896. Aveva 22 anni quando, proprio sul finire della guerra, anzi proprio il giorno dopo del mitico 24 maggio del 1918, era nato il figlio, S.R., a Mo, avuto da un soldato, suo compaesano, che nel frattempo era morto in guerra. Rimasta sola con il figlio, Pierina, aveva dovuto adattarsi a fare vari mestieri prima e in varie città d'Italia, prima di capitare a Teramo, per lavorare come domestica presso l'Albergo "Giardino". E' qui che l'Urbani, in una delle sue visite alla zia Splendora, l'aveva conosciuta. Le era piaciuta e le aveva chiesto di sposarlo.
     Dopo il matrimonio lei si era trasferita a Rieti, iscritta all'anagrafe il 27 gennaio 1938, aveva smesso di lavorare per dedicarsi completamente al marito e al figlio adottivo, considerato anche che suo figlio naturale aveva preso definitivamente il volo e aveva preso a vivere ormai da solo, lontano da lei.

La malattia di Urbanino

     Tutto era filato bene fino al giorno in cui si era ammalato Urbanino. Poi la terribile necessità di far fronte ad una difficile situazione, emotiva ed economica.Gino urbani aveva pensato subito di portare il ragazzo a Teramo, dove c'era un attrezzatissimo e rinomato Sanatorio antitubercolare, e dove egli poteva contare sull'aiuto della zia, Splendora Saccomandi, che aveva una casa abbastanza ampia e che poteva affittargli una stanza per Pierina, che aveva pensato di rimanere a Teramo accanto al figlio.
     Quanto a lui, Gino, non poteva rimanere a Teramo a lungo, perché non poteva lasciare il suo impiego a Rieti, e poteva solo sperare sul buon esito della domanda di trasferimento a Teramo che egli aveva subito presentato al Ministero da cui dipendeva.
 Pierina avrebbe dovuto far fronte da sola alle necessità della sua permanenza a Teramo, perché la zia Splendora gestiva uno spaccio di sali e tabacchi, sotto i portici del Grand'Italia, e non avrebbe potuto dedicarle molto tempo. Ma d'altro canto con Urbanino ricoverato presso il sanatorio, anche lei avrebbe passato gran parte del tempo vicino a lui, e quindi fuori di casa. In pratica lei in casa Saccomandi avrebbe avuto soltanto l'opportunità di avere un alloggio, una stanza affittata a buon mercato, e un puntodi riferimento sicuro in caso di necessità assoluta.
    Gino avrebbe invece dovuto fare la spola tra Rieti e Teramo, dove si sarebbe potuto recare solo il sabato pomeriggio, per trascorrere accanto alla moglie e al figlio la giornata di domenica fino all'ora di riprendere l'autobus per l'Aquila e poi per Rieti. E questo tutte le settimane, fino alla sperata guarigione di Urbanino.
     All'arrivo del corriera a Teramo non c'era nessuno della famiglia Saccomandi, ma questo Gino Urbani lo sapeva. La gestione del sali e tabacchi era molto impegnativa per la zia Splendora. Così egli si portò, con la moglie Pierina e con il figlio nell'abitazione della zia, che si trovava nel cosiddetto Palazzo dei Mutilati, in via Duca D'Aosta. Portava con sè un paio di valigie, molto pesanti. Bussò alla porta e venne ad aprire Elisa.

Elisa De Benedictis

     Elisa De Benedictis era dal 1941 la domestica di casa Saccomandi. Era nata a Cermignano e aveva abitato con i genitori nelle vicinanze del Casone fino ai 15 anni. Suo padre, "Carminantò" era molto rigido di morale. Il giorno in cui aveva scoperto che sua figlia, per quanto bruttina, aveva ceduto alla corte di un commerciante del luogo, Ercole Sanlorenzo, 35enne, con moglie e cinque figli, l'aveva cacciato di casa. Così la ragazza a 15 anni anni ed incinta era salita su una corriera ed era arrivata a Teramo, dove si era messa a fare la domestica presso alcune famiglie di benestanti.   Qualche volta il Sanlorenzo era andato a trovarla Teramo, anche dopo che era nato il figlio, al auqlae era stato dato il nome di Benito. Poi l'uomo era partito per la guerra e lei lo aveva perso di vista. Durante la sua assenza, Elisa aveva avuto un altro uomo, Antonio Paganesi, che aveva però subito scordato quando il suo precedente innamorato era tornato dalla guerra e la loro relazione era ricominciata, nonostante lei ora fosse a servizio a Teramo.
     Ogni tanto Elisa, specie in occasione di Natale e di Ferragosto, tornava al suo paese facendosi notare per il rossetto sulle labbra e per il trucco pesante sulle ciglia. In paese si mormorava che lei a Teramo facesse "la vita", ma in realtà lei passava gran parte delle proprie giornate svolgendo il proprio lavoro di domestica.
     Ora, ventisettenne, Elisa era forse un po' aspra, resa tale  dalle dure esperienze di vita, ma era una gran lavoratrice. E c'era proprio bisogno di una donna come lei in casa Saccomandi, dove alcune stanze erano affittate ammobiliate. Per la precisione vi alloggiavano un magistrato, un veterinario e un geometra.
    All'inizio Elisa aveva sperato che il Sanlorenzo avesse potuto aiutarla a crescere il figlio avuto da lui, ma l'uomo, sempre più preso dalla necessità di accudire la sua numerosa famiglia legittima, si era andato staccando da Elisa sempre di più, fino a quando non aveva finito per lasciarla definitivamente.
    Elisa non era mai riuscita a dimenticare quel suo primo amore, e aveva continuato a covare un sordo risentimento verso la famiglia dell'uomo, specie verso la moglie, a cui attribuiva la colpa di aver costretto l'uomo a lasciarla e a sottrarle così anche ogni possibilità di aiuto economico per il suo sostentamento e quello del figlio Benito.
    Il suo risentimento nei confronti della donna era tale che un giorno del 1949, avendola incontrata in una strada di Teramo, l'aveva presa a male parole e ne era sorta una colluttazione che aveva richiamato l'attenzione di alcune guardie municipali, intervenute per sedare la lite. Era stata poi accusata di percosse e aveva avuto il suo da fare per difendersi di fronte alla legge. Era insomma, Elisa, una donna forte e passionale, ma anche bisognosa di affetto e di sostegno economico, sempre preoccupata per il futuro del figlio Benito, che aveva dovuto mettere in Istituto, non potendolo portare con sè in casa Saccomandi.
    I precedenti incontri tra Gino Urbani ed Elisa De Benedictis erano stati del tutto formali, ma certamente all'uomo non era sfuggita la carica passionale della donna e a lei non era sfuggito la figura aitante dell'uomo, i tratti del viso, tutto quello che insomma lo facevano definire come "un bell'uomo". Ed Elisa non era certamente sorda né ai richiami del sesso, né alle necessità affettive, né, soprattutto all'esigenza, che avvertiva anzi sempre più pressante, di trovare un uomo per sè e un padre per il figlio Benito.   Questo la portava a guardare ad ogni uomo piacente e con una certa agiatezza di vita un probabile marito e un possibile padre per Benito. Così aveva commesso qualche altro errore, affidandosi per qualche tempo, ad alcune relazioni che erano risultate deludenti e frustranti, quando aveva scoperto che gli uomini ai quali si affidava nella speranza di un matrimonio, se la filavano alla prima occasione.
    Altro che matrimonio! Da quelle relazioni Elisa non aveva avuto altro che un paio di aborti clandestini, almeno così si diceva
nel circondario, dove sicuramente non godeva fama di donna moralmente irreprensibile. Una gran lavoratrice, certo, ma bisognosa di affetto al punto di darsi al primo uomo che si profilasse all'orizzonte come l'uomo della sua vita, non importa se sposato o meno.
    Ma quel sabato 30 giugno Gino Urbani era troppo teso e preoccupato per la salute del figlio perché potesse guardare Elisa come una donna piacente e la presenza della moglie Pierina e del figlio malato sicuramente rimossero ogni pensiero e ogni tentazione anche nella mente e nel cuore di Elisa De Benedictis.
    Il giorno dopo Urbanino fu ricoverato presso il Sanatorio antitubercolare e Gino Urbani ripartì per Rieti. A Pierina era stata data una stanza dove lei sarebbe tornata solo a dormire la sera, dopo aver trascorso tutta la sua giornata accanto al figlio, in Sanatorio.

* Riportiamo l'incipit del libro che è stato pubblicato come n. 2 della Collana "Processi celebri teramani".

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