Notte di sangue e di fuoco a Tortoreto
(I processi Venanzo e Varzè - 1915-17)

La Corte
Processi celebri teramani
Collana a cura di Elso Simone Serpentini

 
 

La scoperta di due cadaveri

 

Era di centotrenta parole il telegramma che partì da Tortoreto la mattina di domenica 21 marzo 1915 diretto al giudice Istruttore di Teramo, che lo ricevette a mezzogiorno. Diceva che quella stessa mattina alle ore 8,30 era stato rinvenuto, tra le fiamme della propria abitazione, in contrada Colle Arena, nell’agro di Tortoreto, il cadavere di tale Pacifico Rossi, fu Vincenzo, che presentava quattro larghe ferite, che non lasciavano dubbi sul fatto che si trattasse di un omicidio. Poi, verso le ore 11, era stato trovato pure nella propria abitazione, in contrada Muracche, sempre nell’agro di Tortoreto, il cadavere di Rosaria Cappelletti, di Nicola, di anni 28.

     Il telegramma inviato dal Brigadiere dei Reali Carabinieri Gabriele De Titta, formulava una prima ipotesi. Probabilmente il Rossi, per vecchi rancori con la Cappelletti, dopo averla assassinata, tornato nella propria abitazione, si era suicidato, inferendosi dei colpi e dando fuoco alla sua casa. Il Brigadiere De Titta concludeva dicendo che attendeva l’arrivo del giudice Istruttore, in compagnia di un sanitario di sua scelta, per le constatazioni di legge.

     Alle 18,15 di quella stessa domenica arrivò in contrada Muracche di Tortoreto il vice Pretore del Mandamento di Giulianova Sigismondo Bernardi, accompagnato dal cancelliere aggiunto Alfonso Pellegrini, e si recò nell’abitazione di Rosaria Cappelletti. Era una casa isolata, che si trovava lungo la via pubblica che dall’abitato di Tortoreto portava a Tortoreto Spiaggia, confinante

con la strada detta della Peschiera. La casa era di proprietà di tale Antonio Tinti ed era a due piani. Il cadavere di Rosaria Cappelletti si trovava al piano superiore. Lungo la scala per mezzo della quale vi si accedeva si notavano alcune macchie di sangue.

     La scala stessa immetteva in un vano diviso in due da un tramezzo e in uno dei due ambienti risultanti, che aveva una finestra che si affacciava a mezzogiorno, adibito a camera da letto, si trovava il cadavere della donna, steso a terra, coperto da un lenzuolo. Accanto al corpo, sul pavimento, erano evidenti delle macchie di sangue. Il letto si presentava disfatto, con sopra della biancheria aggrovigliata e vesti femminili oltre a quattro cuscini, disposti a semicerchio.

     Nello stesso vano, c’erano due bauli, entrambi aperti, uno dei quali conteneva biancheria ed abiti la cui situazione di aggrovigliamento faceva intendere che c’era stata una frenetica opera di rovistamento. L’altro baule conteneva due melograni, un libretto colonico, un fazzoletto ed alcuni piccoli pezzi di stoffa. Anche questo secondo baule doveva essere stato rovistato, perché sparsi a terra, accanto, c’erano coperte ed abiti.

Il vice Pretore Bernardi si chinò ed esaminò attentamente le serrature dei due bauli. Era evidente che erano state tutte e due forzate. In un angolo, accanto al letto, scorse un recipiente per conservare l’olio. Dalla parte opposta, sempre accanto al letto, c’era una piccola damigiana, sopra la quale si trovava un coltello, del tipo detto scannatoio, a punta acuminata, sulla cui lama si notavano piccole macchie rossastre, probabilmente di sangue disseccato.

Esaminate le serrature del vano e della casa, il vice Pretore non riscontrò nessun segno di forzatura o di effrazione. Tornato accanto al letto, si accorse che dalla parte che era accostata alla finestra, era evidente un sollevamento del pagliericcio, come se qualcuno avesse cercato qualcosa che pensava fosse nascosto sotto. A terra c’era una busta, proveniente dall’America, un’assicuratae per cinquanta lire, indirizzata a Rosaria Cappelletti, Tortoreto. La busta era aperta e dentro c’era un foglietto, con sopra scritto "American Express Company".

     Mezz’ora dopo, il cadavere venne esaminato dal dott. Iacopo Nardi, medico chirurgo di Giulianova. La morta indossava una sottana a strisce bianche e blu e un busto a fiorami rossi su fondo bianco, orlato pure di rosso, una camicia bianca, calze a strisce bianche, rosa e blu. Alle orecchie aveva orecchini d’oro con al centro delle perline, all’anulare della mano sinistra due anellini.

     Il cadavere era steso a terra, con le cosce divaricate in direzione del mezzogiorno, il braccio destro era ripiegato quasi fino all’altezza della testa, in posizione di abduzione dal tronco, il braccio sinistro era disteso lungo il fianco corrispondente, in posizione di supinazione. Sia la sottana che la camicia erano rimboccate verso il petto, sì da lasciare completamente nude le cosce e l’addome fino all’ombelico. Sia la camicia che la sottana erano sollevate anche sul dorso e ripiegate fino al di sopra delle natiche.

     Il viso della morta era sporco di sangue, grumi sanguigni si trovavano sulle narici e all’angolo sinistro della bocca e da qui fino all’occhio dello stesso lato. Altre strisce sanguigne si trovavano sul naso e nella regione orbitale, con analogo tragitto, nella metà destra della faccia, quella maggiormente sporca di sangue e che rimaneva più in basso in rapporto alla posizione del corpo. Anche la mano destra era tutta intrisa di sangue, così come la camicia che copriva il braccio e la metà destra del petto.

     Altre macchie di sangue si notavano sulla parte sinistra della camicia, sia sul petto che sul braccio. Anche la mano sinistra era imbrattata di sangue e macchie ematiche si notavano anche sul busto, sulla sottana e, su questa, soprattutto sul lembo che si trovava in vicinanza del braccio destro.

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* Riportiamo l'incipit del libro, volume n. 39 della Collana "Processi celebri teramani". 

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