LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Beato contadino! Povero proprietario!

 

   - Voi proprietari – esordì il curioso Cronista - siete accusati di continuare ad affidare sempre più vaste estensioni di terreno a un sempre minor numero di coloni, del tutto sproporzionato ai bisogni dei fondi, che sono assai vasti. Si dice che, così facendo realizzate, un duplice obiettivo: conseguite un risparmio, in quanto per ciascun latifondo impiegate un numero di braccia lavorative di molto inferiore al bisogno, e costringete ogni singolo colono a lavorare di più per poter sopravvivere.

    - E’ falso! – rispose il Proprietario Latifondista - Non è nel nostro interesse servirci di un numero di coloni troppo basso. Se lo facessimo molti appezzamenti di terreno resterebbero incolti e questo non ci conviene.

    - Però si fa notare che per voi latifondisti una convenienza c’è sempre, in quanto il vostro reddito non è vincolato, come quello dei coloni, alla produttività di un solo fondo. Inoltre…

    - Inoltre?

   - Inoltre il contratto colonico è articolato in modo tale che voi latifondisti esercitate ogni genere di pressione anche economica, sui coloni. Voi pretendete una restituzione fissa del raccolto, assai onerosa, tanto che i contadini dicono che voi volete da loro "il colmo pel raso".

    - Panzane !

    - Quando il raccolto è scarso, la quota fissa che i contadini vi devono consegnare  riduce  di tanto

 

 

quello che rimane a loro che non ne hanno a sufficienza per vivere. Spesso devono ricomperare a caro prezzo da voi proprietari parte del raccolto che vi hanno consegnato come quota fissa. Difatti quasi tutti i coloni sono indebitati con i rispettivi proprietari.

    - Beh, che i contadini siano indebitati non è colpa nostra. E poi, tutto sommato, è anche un bene.

    - In che senso?

    - Nel senso che, se riescono ad accumulare somme di denaro hanno la tentazione di acquistare piccoli appezzamenti di terreno da coltivare in proprio.

    - E questo è un male?

   - Sì, perché poi dedicano tutto il loro tempo alla coltivazione dei loro piccoli appezzamenti e trascurano la coltivazione dei terreni che tengono in colonia. Tanto più che solitamente acquistano terreni in aree assai lontane da quelle dei terreni che tengono in colonia.

   - E’ per questo che voi proprietari cacciate dai vostri fondi i contadini che acquistano terreni da coltivare in proprio, tanto che molti di loro vi tengono nascosto l’acquisto o indicano falsi proprietari, inventandosi padroni immaginari?

   - E’ anche giusto farlo, anche se io non l’ho mai fatto. E comunque si deve riconoscere che la vita dei contadini è del tutto invidiabile, essendo troppo agiata, mentre è del tutto disagevole quella di noi poveri proprietari.

   - Agiata la vita dei contadini e disagiata quella di voi poveri proprietari?

   - Ne sono assolutamente convinto. Il mezzadro non mette che il suo solo lavoro, e pure viene a godere della stessa parte del frutto del terreno di cui gode il proprietario, il quale, invece, ha dovuto sborsare grosse somme di denaro, per acquistare il terreno, fabbricare la casa per sé e per il mezzadro, la stalla, comprare gli alberi da piantare, le siepi, arginare i fiumi…

   - Dunque, secondo voi il contadino sta meglio del padrone?

   - Certamente ! Abita una casa senza pagare né affitto né tassa di proprietà, non ha spese di restauro e di mantenimento. Se considerate le tasse, il povero proprietario viene a prendere di meno del mezzadro. Perciò la colonia non è un patto di vera e perfetta società, in cui ambedue le parti dovrebbero prendere parti uguali.

   - Come spiegate allora che il mezzadro sta apparentemente peggio del proprietario e le sue condizioni economiche non sembrano proprio così floride?

   - Il mezzadro, purtroppo, non sa e non vuole far fruttificare i beni che la natura e la società mettono a sua disposizione. E sì che ne avrebbe possibilità maggiore che non il proprietario, il quale vive solo della rendita dei suoi fondi, che gli basta appena per il pagamento delle tasse e per il proprio mantenimento.

   Il Proprietario Latifondista continuò spiegando che per l’abbassamento del prezzo del grano ci rimetteva più lui che il suo colono. Quando il Cronista gli chiese perché, rispose:

   - Semplice ! Perché il mio contadino il grano non lo vende, ma lo mangia e quindi per lui il prezzo del grano non conta. Anzi, se il suo non gli basta e deve comprarlo, si avvantaggia del basso costo.

   Il Proprietario Latifondista si accalorò ancora di più quando spiegò che perfino le prospettive di miglioramento erano superiori per il contadino che per il proprietario.

   - Per migliorare – argomentò – il proprietario avrebbe bisogno di capitali e non li ha. Invece per il contadino i capitali sono le sue braccia e gli basta lavorare di più per guadagnare di più. Se invece dell’aratro adopera la zappa, se invece della zappa adopera la vanga, secondo i nostri esperti di campagna, il prodotto del suo lavoro aumenta. Così egli può facilmente produrre di più o almeno quanto gli basta per il nutrimento suo e della sua famiglia, senza bisogno di indebitarsi o di andare dall’usuraio. Invece il povero proprietario…

   - Invece il povero proprietario?

   - Dopo pagato il fisco, le spese del vitto, del vestiario, dell’educazione dei figli, poco gli resta. E poi egli ha esigenze sociali che il contadino non ha: abiti decenti, i balli, il teatro, il circolo, il caffè, i bagni… Queste sono esigenze dalle quali un povero proprietario, anche se è un conservatore, non può derogare.

   - C’è poi un’ultima considerazione – aggiunse il Proprietario Latifondista.

   - Quale? – chiese il Cronista.

   - Il proprietario considera con terrore la nascita di molti figli, mentre il contadino con gioia, perché la prole è per sua natura produttrice. Più braccia significano maggiore lavoro e quindi maggiore produzione e più ricchezza. I figli dei proprietari, invece, dopo immensi sforzi e sacrifici, riescono a conseguire la laurea e poi diventano oziosi e disgustati, perché i clienti non si trovano. Perciò diventano degli egoisti, scaldapanche da caffè, facilmente si mutano in socialisti o anarchici e sono la disperazione dei loro genitori e delle loro famiglie, oltre che un pericolo per la società.

   Quando il Cronista lasciò l’abitazione del Proprietario Latifondista passò accanto a quella di un suo colono, attigua alla stalla. Qualcosa gli suggeriva l’idea che, lacero e scalzo com’era, non si considerasse più fortunato del suo "povero" padrone.

* L’intervista è immaginaria, ma illustra con la massima precisione i contenuti esposti in un articolo del numero di maggio-giugno 1894 della "Rivista Abruzzese", dal titolo "Le condizioni economiche dei proprietari e dei mezzadri nel Primo Abruzzo Ulteriore e la relazione fra essi" a firma G. SAVINI

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