LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Breck... breck... qui Becco Giallo

 

   Eravamo nei primi degli anni ‘70 e una delle nostre passioni era quella dei “baracchini”, ai quali restavamo attaccati per ore. Avevamo scoperto la CB, la “citizens' band”, e trasmettevamo sui 23 canali dei 27 Megahertz, ciascuno con il proprio nome in codice: Uragano, Falco Primo, Brancastello, Selene, Lupo, Lampo, Tuono, Uragano, Nemo, Alce Uno, Condor…

     Io ero - non potevo scegliere un nome diverso - Talete. Se si voleva chiamare su un canale dove non c’era nessuno, si diceva: “CQ, CQ”; se ci si voleva inserire in una conversazione già in corso, il QSO (anche a più voci con il “passo” che cedeva il microfono ad un altro - non bisognava accavallarsi, perché in onda ci poteva andare una voce per volta), si diceva: “Breck… Breck… e ci si annunciava con  il proprio nominativo.

     Non tutti ci conoscevamo di persona, e tra quanti ci si conosceva ci si dava spesso appuntamento per una mangiata di angurie, se si era d’estate. Di tanti si conoscevano solo le voci e il nominativo e ci si riprometteva di incontrarsi prima o poi.  Ma, quando la propagazione era buona, si cercava il colpaccio per far morire di invidia tutti gli altri, consistente nel collegamento a grande distanza, con radioamatori lontanissimi, torinesi, milanesi, ma anche norvegesi, finlandesi, svedesi, spagnoli e perfino canadesi, con i quali, a conferma dell’avvenuto collegamento (il QTC), ci si scambiavano cartoline illustrate, postali o personalizzate con tanto di nominativo stampato in mezzo a simboli radiotelegrafici.

 

 

3 settembre 1971. Pietracamela. Un gruppo di CB teramani in visita alla roulotte di Brancastello: da sinistra: Condor, Lupo, Talete, Alce Uno, Uragano, un ospite non CB, Orchidea, Tulipano, Brancastello.

 

    Bisognava stare attenti alle “perette”, vale a dire ai falsi collegamenti a distanza, spacciati per tali da amici CB che, camuffando le voci, parlavano stando a volte a meno di cento metri di distanza, prendendo poi in giro i beffati.

     Era tutto un mondo, animato e assai vivace. Non eravamo OM, vale a dire radioamatori con tanto di patente e di licenza ministeriali, quindi autorizzati a trasmettere, perché in Italia la CB era una banda abusiva, solo tollerata. Arrivò però il momento, come ne accadono tanti in Italia nei campi più impensati, che la politica decise che la tolleranza era finita. A polizia, carabinieri e soprattutto agli agenti di finanza fu ordinato di effettuare un giro di vite e di dare la caccia a noi CB. Quelli che venivano sorpresi con il microfono in mano, soprattutto sulle “barre mobili”, vale a dire le proprie autovetture, riconoscibilissime perché dotate di vistosissime antenne riceventi e trasmittenti (le famose “fruste”), venivano denunciati e processati.

     L’allarme generale teneva tutti sul chi vive. Per reagire, decidemmo, io e il mio inseparabile amico e complice Piero Macozzi, (in CB Condor), di fare della mia auto uno studio mobile, che irradiava non più soltanto cicalecci reciproci, ma una vera e propria trasmissione radiofonica, pre-registrata su cassetta, che irradiavamo spostandoci in continuazione nella notte per non farci individuare. Ricordo la sigla: “Abbassa la tua radio, per favor…”. Poi arrivava la trasmissione, che tutti ascoltavano nei loro baracchini, facendo funzionare solo le cuffie o gli auricolari o gli altoparlanti, e non i microfoni. A trasmissione finita, si incrociavano i commenti oltre che i consigli su come fare per sfuggire ai controlli delle pattuglie dei carabinieri e della finanza che ci andavano cercando.

     Una sera, a trasmissione finita, ecco una voce - devo dire un po’ particolare - che ci gracchia nell’abitacolo: “Breck… Breck… qui Becco Giallo”. Becco Giallo? Non s’era mai sentito nessuno con quel nominativo. Chi era Becco Giallo? Con il clima che c’era, non si poteva accettare un “breck” da un nominativo sconosciuto, ma qualcuno gli rispose e Becco Giallo cominciò a fare domande. Mostrando, per la verità, di essere neofita e addirittura piuttosto… imbranato, confondendosi tra il momento in cui doveva parlare e quello in cui doveva tacere e ascoltare, pigiando e rilasciando nei tempi opportuni il pulsante del microfono. Quella voce… quel modo di fare domande… e poi quel cominciare a chiedere di poterci incontrare. Gli fu chiesto chi conoscesse di noi. Rispose: nessuno. Fu fin troppo facile sospettare, con quel nominativo, che si trattasse… come dire? di un agente provocatore. Cominciammo a sospettare che Becco Giallo non fosse altro che un agente della finanza. Perfino l’associazione tra Fiamme Gialle e Becco Giallo ci induceva a pensare che chi aveva preso in mano un microfono e stava usando da neofita il baracchino non avesse altra intenzione che quella di individuarci, di incontrarci e di… metterci nei guai.

     Il povero Becco Giallo fece di tutto per conoscerci e per incontrarci. Gli davamo indicazioni vaghe, poi fissavamo un appuntamento per incontrarlo di persona, ma non ci andavamo. E lui insisteva. Poi qualcuno di noi, più audace, decise che occorreva smascherare l’impostore, dargli un appuntamento, andarci di nascosto e cercare di capire chi fosse. Quando riuscimmo a scoprire che Becco Giallo trasmetteva da una “barra mobile”, cioè a bordo di un’autovettura, e che l’autovettura era una Fiat Cinquecento Gialla, che fosse un agente della Guardia di Finanza ne fummo più che sicuri. Ma chi lo aveva scorto nell’oscurità della notte dentro la sua vettura aveva riferito che non era in divisa. Gli demmo più di un appuntamento, tutti mancati, e gli facemmo fare mille giri tra le vie e le viuzze di Teramo. Una sera decidemmo di mettere fine a quella storia. Dopo avergli fatto fare ancora cento giri e averlo fatto diventare roco a forza di “Breck… breck… qui Becco Giallo”, gli demmo appuntamento sotto la casa di Brancastello (alias Giovanni Ferrante), in Piazza Dante. Appena arrivò, non aveva ancora spento il motore che… si ritrovò circondato da una diecina di “barre mobili” che lo accecarono con i loro fari. Il malcapitato scese dalla vettura, bianco in volto come un cencio. Qualcuno di noi lo conosceva. Non era una guardia di finanza, ma un deputato. Era l’on. Vinicio Scipioni. Del Pc.

     Trascorremmo più di tre ore tutti insieme nella casa di Brancastello, sorseggiando bevande fresche insieme con Becco Giallo. Che non era una guardia di finanza. Io allora militavo nel MSI e (erano gli anni ‘70, quelli dell’arco costituzionale al di fuori del quale il mio partito veniva collocato) e con l’on. Scipioni non avevo mai parlato. All’inizio eravamo tutti e due imbarazzati. Poi facemmo amicizia e quell’amicizia durò nel tempo. Ci spiegò perché aveva deciso di prendere un baracchino in mano. Il suo partito gli aveva affidato l’incarico di scrivere una relazione in vista di una legge con la quale il parlamento intendeva disciplinare in Italia l’uso della CB. L’on. Vinicio Scipioni, che non amava parlare e scrivere di cose che non conosceva, aveva deciso di mettersi a studiare. E l’unico modo per conoscere il mondo dei CB, per il quale si voleva fare una legge, era quello di frequentarlo. Così aveva acquistato un baracchino, lo aveva fatto montare sulla sua Cinquecento gialla, con una bella frusta (l’antenna) bene accordata, aveva preso in mano il microfono, aveva schiacciato il pulsante e aveva cominciato a gracchiare: “Breck… Breck… qui…”. E il nominativo? Ci voleva un nominativo. Era a bordo di una Cinquecento gialla. Ricordava il titolo di quella bella rivista satirica: “Becco Giallo”. Perciò… “Breck… Breck… qui Becco Giallo”. Becco Giallo non era una guardia di finanza, era un parlamentare italiano che stava studiando.

 

   

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