LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Bellezze di primavera e foglie d'autunno

 

Quando, sul primo numero del "Corriere Abruzzese", il 1° dicembre 1875, il Direttore Francesco Taffiorelli annunciò che l’impresario Sternini si era assicurato per la stagione teatrale d’inverno una compagnia di canto, che avrebbe messo in scena al Teatro Comunale di Teramo il "Rigoletto" di Giuseppe Verdi e il "Ruy Blas" di Filippo Marchetti, accompagnò l’annuncio con questo commento: "…una notizia allegra: quest’anno non si andrà a letto all’ora delle galline."

     Il successo del "Rigoletto", la sera della prima, il 26 dicembre, fu buono e il cronista teatrale annotò: "Qua e là spuntavano bellezze di primavera, ma non mancavano di far capolino certe foglie d’autunno… Ho ammirato delle graziose pettinature, con fiorellini bianchi. Nessuna camelia, molte rosette, parecchi gelsomini."

     Le serate successive non furono soddisfacenti: i palchetti erano quasi deserti, la platea semivuota, le toilettes meno brillanti, la moglie del prefetto aveva lasciato a casa i fiorellini e la carica di sindaco era sempre vacante. Così, per non perdere il gusto del sorriso, il cronista si soffermò sul contralto Stefania Della Rocca, che aveva nell’opera una parte brevissima, ma sufficiente perché si notasse la sua corpulenza, che evidentemente piacque ai teramani, in quanto l’artista fu fatta segna all’entusiasmo generale.

   Il cronista scrisse:

 

La Chanteuse du Café-Concert

di Edouard Manet

    "Con quel po’ po’ di grazia di Dio che ha addosso provoca nel pubblico certe manifestazioni erotiche che moltissime donne potrebbero invidiare." Il gusto per il sorriso lasciò il posto al sarcasmo, evidentemente, quando lo stesso cronista diede notizia che l’impresario Sternini, "per via di esperimento", aveva fatto pesare la Della Rocca e la bilancia aveva emesso questa sentenza: "kg. 98, ettogrammi 9 e qualche cosa in più". Dal sarcasmo si passava al ghigno, evidentemente, quando si commentava: "Io veggo in alcuni palchetti certe signore che sembrano stecche. Ricorrino un po’ a ‘gnora Stefania, che ne ha d’avanzo." Ma intanto si stava provando la seconda opera della stagione, il "Ruy Blas" del Marchetti, tratta da un’opera di Victor Hugo, nella quale era pure impegnata la Della Rocca, insieme con il tenore teramano Berardo Sardella.

   Quando, la sera di domenica 16 gennaio 1876, il pubblico del Teatro Comunale accorse numeroso alla prima dell’opera, nonostante l’esecuzione dell’opera non fosse stata perfetta, nonostante l’orchestra avesse dato l’ostracismo al si bemolle, nonostante lo spartito dell’opera, già di per sé difficilissimo, fosse stato mandato a memoria in fretta e furia dagli artisti, si capì che i teramani avevano decretato la nascita di una nuova regina, la loro Regina: Madamoiselle De Lest. Nell’opera infatti la De Lest impersonava la Regina di Spagna, la moglie di Carlo II, e, fresca e avvenente come apparve, fu salutata Regina dai teramani. Ella fu, per tuttto il tempo in cui la compagnia di canto restò a Teramo, la Regina di Teramo. Chi la invidiava disse che a Teramo s’era diffusa una nuova malattia: la "delestite acuta".

     Madamoiselle De Lest era parsa quasi impaurita all’esordio, ma la sua voce pastosa e simpatica aveva subito convinto e la sua figura aveva conquistato tutti e il cronista, esaltato, annunciava: "Una nuova diva entra nell’Olimpo dell’arte". Fu tale e tanto l’entusiasmo che "in qualche palchetto si temette qualche catastrofe, tanti erano i battimani che vi rumoreggiavano". Il cronista scrisse ancora che era una Regina di cui tutti i teramani volevano essere sudditi, che era un fiore di gentilezza e di modestia, che era un fiore esotico per il quale era naturale che i teramani impazzissero, tanto da averle cantato serenate sotto le finestre del suo albergo la sera della prima e le sere successive. Gli esperti avrebbero poi detto che quello del "Ruy Blas" della De Lest era stato il più grande successo della vita teatrale teramana della seconda metà dell’Ottocento.

     Madamoiselle De Lest non ebbe solo le serenate. Molti improvvisati poeti scrissero componimenti che dedicarono alla sua grazia e alla sua bellezza; folle di ammiratori entusiasti la riaccompa-gnavano al suo albergo, dopo lo spettacolo, sempre più numerose, sera dopo sera. Alcuni esibivano come trofei le lettere che la bella Regina aveva scritto per ringraziare per gli omaggi, per le serenate e per le poesie. Era colpa sua, si diceva, se il tenore teramano Sardella ogni tanto, tenendola tra le braccia, prendeva qualche cantonata. Come non giustificarlo? Per lui era già una grande vittoria tenere "la testa a segno".

     Le rappresentazioni del "Ruy Blas" continuarono per tutto il mese di gennaio e la popolarità della De Lest divenne sempre più grande. Quando cominciarono le beneficiate degli artisti, tutti si posero in trepida attesa di quella della "Regina di Spagna".

Così nella prima beneficiata della sera del 29 gennaio fu buono il successo del Ponzetti, altrettanto buono quello di Egidia Ciccaglia, che si esibì in un valzer cantabile del maestro Dati, ma la sera del 5 febbraio tutto il pubblico fu per la De Lest, che fece del tutto passare in secondo piano la beneficiata del Sardella e degli altri artisti. Quando la De Lest attaccò l’aria del "Pierre de Médecis" del Poniatowski, venne giù il Teatro Comunale e, al termine, in platea e nei palchetti si scatenò la guerriglia, con un lancio di fiori che non si era mai visto finora a Teramo.

     Nella beneficiata della sera del 10 febbraio furono il tenore Amedeo Cecconi, Stefania Della Rocca, Lorenzo Cipollini (esecutore di uno splendido assolo per tromba), che dovettero cedere il passo alla De Lest, la quale trionfò in una romanza della "Forza del destino" di Verdi. Ma il vero trionfo della "Regina" fu consacrato nella stagione del Carnevale di quel 1876. Il suo più entusiasta ammiratore fu il promettente giovane autore teramano Eugenio Cerulli, il quale prima le dedicò numerosi componenti poetici, tutti esaltanti la sua bellezza, poi scrisse appositamente per lei due scene dal titolo "Il trionfo dell’arte", che furono musicate dal Maestro Orfeo Livi ed eseguite dalla stessa De Lest la sera del 19 febbraio, quella del suo massimo trionfo teramano.

Teramo impazzì quella sera, i palchi erano gremitissimi ed ognuno di essi conteneva due o tre famiglie; il loggione dava l’impressione di essere l’inferno di Dante, tanto era affollato. Era "una vera marea di carne umana".

     Al termine dello spettacolo la De Lest non faceva altro che raccogliere applausi, fiori, corone, versi e "piogge d’oro". Sì anche "piogge d’oro", come veniva definito il lancio sulla scena di denaro e biglietti di banca offerti all’artista. Quando lei annunciò che offriva tutto il ricavato della sua beneficiata ai bambini dell’asilo infantile, che erano presenti e le offrirono in regalo un portagioie cinese, fu il delirio. Alcuni giovani teramani declamarono in sua lode una ottava, i coristi le offrirono un sonetto, altri le recitarono poesie in francese composte per lei, altri le offrirono un quadro a pastello che la ritraeva sulla scena. Era ormai notte fonda, quando una folla incredibile e plaudente di ammiratori l’accompagnò fino all’albergo con fiaccole e fuochi di bengala.

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