LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Buon Natale 1892

 

"Buon Natale! E’ questo l’augurio fervido che l’umile estensore di questa rubrica fa ai lettori ed alle amabili lettrici. Buon Natale. E nella quiete domestica, nella solennità della festa che ricorda all’uman genere il più grande avvenimento, nella gioia pura ed onesta che scende sulla tavola del ricco e sul desco frugale del povero, giunga gradito l’augurio del nostro giornale, il quale si raccomanda ai suoi lettori per rinnovare l’abbonamento come l’unico che faccia fare un po’ di buon sangue. Buon Natale."

    Luigi Medori, cronista de "Il Centrale" era soddisfatto. Lo sarebbe stato anche il suo direttore, Giovanni Fabbri, che gli aveva affidato l’incarico di stendere il saluto di buon Natale ai lettori per l’ultimo numero di quel 1902. Il cronista si accese un sigaro e si soffermò su qualche riflessione. L’anno vecchio se ne andava, il secondo del nuovo secolo.

 

 

    Teramo e i suoi cittadini, come al solito, speravano che l’anno nuovo portasse qualche maggiore vivacità in una città sonnacchiosa, capace di poche intense emozioni. In città si commentava con più ardore la serie di furti di salami e altre cibarie (ad un certo "Vatore", che abitava lungo la discesa del Camposanto, avevano rubato 400 lire, riso, baccalà e salami) che non l’arrivo del nuovo Vescovo, Mons. Alessandro Beniamino Zanecchia-Ginetti, un carmelitano scalzo, che si era insediato il giorno dell’Immacolata Concezione, prendendo il posto del Vescovo Trotta, anziano e malato, nominato canonico di Santa Maria Maggiore, a Roma.  

    Poco interesse aveva anche suscitato l’inchiesta amministrativa sul segretario comunale, accusato di malversazione, che pure aveva tanto angustiato il Sindaco Luigi Paris. S’era parlato molto di più di quell’altra inchiesta amministrativa sulla Congrega di Carità, nata dalla denuncia del consigliere Vincenzo Guerrieri-Crocetti, che aveva portato proprio sullo scorcio di quell’anno allo scioglimento della Congrega. Solo gli amministratori infine avevano mostrato soddisfazione, nel disinteresse generale, per il fatto che, finalmente, la speciale commissione comunale, presieduta dall’Ing. Pinto, aveva individuato l’area dove sarebbe stato realizzato il nuovo cimitero, a Villa Paone, nei pressi di Cartecchio.

    Luigi Medori uscì dalla sede del giornale e girovagò per le strade di Teramo. Le strade erano buie, come al solito, e l’illuminazione del tutto insufficiente, ma nelle vetrine di tutti i caffè faceva bella mostra di sé l’ultimissimo successo commerciale per il quale i teramani stavano andando pazzi: le "flatte". Erano confezioni di fichi secchi, realizzate da Antonio Pellicciante, chiuse in eleganti astucci, che si trovavano esposte nelle vetrine di tutti i caffè di Teramo, del "Caffè della Vittoria" di Gaetano Guarini, sul Corso, del "Caffè Polce", del "Caffè Trippetta", del "Caffè Roma", di quello di Lucidi-Pressanti.    

Mentre osservava le "flatte" esposte nella vetrina del "Caffè del Commercio", in Via S. Antonio, il cronista incontrò "Musciarille", l’accalappiacani, e scambiò con lui qualche parola. "Musciarille" gli disse che i cavalli continuavano ad imbizzarrirsi per le strade, attentando alla vita dei teramani, e che proprio quel giorno la carrozza postale per Civitella, mentre transitava vicino al Convitto Nazionale aveva rotto l’asse delle ruote e si era dovuto chiamare un’altra carrozza.

    Parlarono poi della morte in ospedale, per le conseguenze di una ferita ad una gamba, di "Maibù", una notissima macchietta teramana, noto per le bestemmie con le quali reagiva vivacemente alle frotte di monelli che lo inseguivano, facendogli mille dispetti e canzonandolo. Si sarebbe sentita la sua rumorosa mancanza.

    Passando davanti al Teatro Comunale, il cronista non potè resistere alla tentazione di entrare e di dare uno sguardo al palcoscenico. Aveva ragione il cronista del giornale rivale, "La Provincia". Marietta Gaudiosi, la regina della Compagnia teatrale dialettale Gaudiosi era splendida e incantevole. "La Provincia" aveva fatto bene a scrivere che Marietta aveva "occhi neri sfolgoranti più che stelle, voce arcanante, scatti potenti dell’anima" e che "a suo talento ti accarezza, ti conquide, ti affascina."

    Tornato in piazza, Medori incontrò un uomo dall’atteggiamento severo, che non riconobbe subito, anche dopo che quello lo ebbe salutato. Poi, quando si era allontanato, ricordò chi fosse. Era il Prof. Sasso, da poco a Teramo, nuovo Preside del Liceo Classico, che così si avviava a concludere un lungo periodo senza preside e senza nuovi professori.

    Era ora di tornare a casa. Passando davanti al Palazzo Pistilli, il cronista ripensò che proprio la domenica precedente vi si era svolto un affollato comizio contro l’ubicazione del nuovo istituto scolastico, il Tecnomasio, che gli amministratori volevano costrui-re dietro i giardini pubblici, a Porta San Giorgio, in un’area che gli oppositori ritenevano troppo fuori mano.

    Il cronista ripensava alla furenti critiche del Presidente del Comitato, Vincenzo Guerrieri-Crocetti, e dei due relatori, l’Avv. Antonio De Benedictis e il Dott. Pasquale Cerulli. Quest’ultimo si era servito anche di una carta attaccata al muro, per spiegare come costruire il Tecnomasio in quel posto così fuori mano non rispondeva alla logica, alla legge, all’estetica e all’igiene e che c’erano molte più valide alternative. "Il Centrale" aveva riportato un ampio resoconto sul comizio, che s’era svolto nel Palazzo Pistilli perché non era stato concesso l’uso del Teatro Comunale, che pure, aveva tuonato, l’Avv. De Benedictis, "si concede a saltimbanchi, presti-digitatori e anche a qualche onorevole".

    Su quella pessima ubicazione, l’Avv. De Benedictis aveva detto che il nuovo edificio scolastico sarebbe rimasto nascosto e avrebbe deturpato l’amena passeggiata, nascondendo la vista delle due montagne gemelle, che sembravano uscire da una coltre di nebbia vaporosa. Perché occupare quel posto così incantevole, dove in appresso dovevano sorgere dei villini, un posto esposto a tutti i venti, all’umido del fiume, al lezzo pestifero delle concerie sottostanti?

Chi poteva ignorare che attraversare Piazza Garibaldi d’inverno, quando il freddo tagliava la carne, sarebbe stata un’impresa? "Esponete un qualunque organismo al percorso da Porta Reale a Porta San Giorgio, fategli attraversare quel largo alla mattina e lo ucciderete" aveva concluso il relatore, affermando che Teramo aveva bisogno di essere abbellita all’interno e che molti dei suoi quartieri dovevano essere rifatti completamente, perché dunque non costruire il Tecnomasio all’interno della città invece di andare a metterlo fuori centro? Dove il forestiero che fosse venuto in città non avrebbe avuto neanche il tempo di andarlo a vedere?

    Meglio sarebbe stato costruirlo nel rione di Santa Maria a Bitetto, nell’area degli orti Ciotti ed Arcieri o nell’area della Palestra Ginnastica o in quella di proprietà di Berardo Cerulli, dov’era la casa Amicangeli Petrini, o di fronte a Castelli, in Piazza della Misericordia. Ormai il sonno era troppo e il letto a casa era comodo.

    L’ultima cosa che Luigi Medori pensò prima di addormentarsi fu che l’indomani sarebbe andato al forno del suo amico Antonio De Marco. Aveva voglia di mangiare ancora quel rinomato pane di lusso di cui il fornaio menava vanto e che poteva vendere grazie all’abilità del suo nuovo lavorante, Leonardo Scaccini, fatto venire apposta da Ancona.

    Ecco un’altra cosa di cui i teramani erano pazzi. Ma sarebbe durata? O anche quella moda sarebbe presto finita, come tutte le cose a Teramo? Il 1903 era alle porte e l’anno vecchio se ne andava. Buon Natale!

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