LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Viva Francesco II re d'Italia

 

      - Come vi chiamate ?

    Il tono della domanda era quello fermo e severo che ben si conosceva. Tutti sapevano che il Giudice Istruttore Federico Capalozza era particolarmente severo ed irritabile. E, quando ti interrogava, non ti guardava mai in faccia. Altro che l’Istruttore che lo aveva preceduto, Domenico Guarnieri, detto "il napoletano". Quest’ultimo, quando faceva le domande, con quel suo inconfondibile accento partenopeo incuteva rispetto, ma non timore. Capalozza invece…

    - Mi chiamo Calisti Berardo - disse l'uomo che, seduto davanti alla scrivania del Giudice Capalozza, si trovava nello sgradito compito di rispondere alle sue domande.

     - Di dove siete - chiese ancora l’Istruttore.

     - Di Villa Ripa.

     - Qual è il nome di vostro padre?

     - Donato… ora defunto.

     - Quanti anni avete?

     - Quaranta.

     - E qual è il vostro mestiere?

     - Mulattiere.

    Berardo Calisti rispondeva alle domande del Giudice Istruttore continuando a passarsi le dita della mano destra sui mustacchi, rigirandoseli tra i polpastrelli e tirandoli ora a destra ora a sinistra. Dopo qualche attimo di silenzio, il Giudice Capalozza tornò a chiedere:

     - Avete beni di fortuna?

 

Francesco II di Borbone

.    - Posseggo una casa.

     - Di che valore?

     - Può valere poco più di quattrocento lire.

     Mentre il cancelliere annotava le domande e le risposte, il Giudice sfogliava delle carte che aveva davanti a sé, ne leggeva qualche riga, poi le sfogliava   ancora.

     - Sapete leggere e scrivere? - chiese poi.

     - No.

     - Siete stato altre volte detenuto o processato?

     - No.

    Calisti dava adesso l’impressione di avere assunto un atteggiamento un po’ sfrontato. Ma, forse, era il suo volto che gli dava un’aria scanzonata e strafottente. Era assai probabile che, al contrario, egli fosse timoroso e che facesse di tutto per nasconderlo a chi lo interrogava e che gli chiese, all’improvviso:

    - Siete stato arrestato otto giorni fa, il 5 marzo 1865 dal Capitano della Guardia Nazionale Pasquale Siniscalchi, sulla strada fuori Porta San Giorgio. Sapete perché siete stato arrestato?

    - Sì.

    - Perché?

    - Per aver gridato ‘Viva Francesco Secondo’".

    Il Giudica Capalozza assunse un atteggiamento ancora più severo, poi lesse su una carata:

    - Questo è il verbale del vostro arresto. Calisti Berardo era in compagnia di cinque o sei compagni e gridava ripetutamente ‘Viva Francesco Secondo Re d’Italia.

    - Ero completamente ubriaco - si giustificò Calisti - Non ricordo se dissi proprio queste parole.

    - Non ricordate se dicevate soltanto ‘Viva Francesco Secondo’ o se dicevate anche "Viva Francesco Secondo Re d’Italia?

    - No.

    - Sul verbale c’è scritto così.

    - Se l’ho fatto, non ero in condizione di avere la coscienza di me stesso. Non ricordo nemmeno il momento quando fui arrestato.

    Calisti aggiunse e ripeté più volte che aveva capito di essere stato arrestato soltanto quando si era ritrovato, qualche ora dopo, sdraiato su un tavolato del corpo di guardia della Pubblica Sicurezza. Aggiunse che poteva indicare alcuni testimoni, che potevano deporre che lui, quella sera, era completamente ubriaco e non in grado di rendersi conto di niente. Quando gli furono chiesti i nomi dei testimoni, fece solo il nome di un tale Francesco Napoleone. Il nome, lo stesso dell’ex Re osannato da Calisti, e il cognome, quello dell’ex imperatore dei francesi, risultavano, accostati, così strani che il Giudice Capalozza pensò che entrambi fossero inventati e che non si sarebbe trovato a Teramo un cittadino che avesse quel nome e quel cognome. Cos’era, quella del Calisti, un’altra insolenza e un altro oltraggio al Governo?

     Mentre Calisti continuava a ripetere che quella sera aveva bevuto molto, il Giudice Capalozza, sempre consultando il verbale di arresto, leggeva:

    - L’arrestato fu consegnato al corpo di guardia di Pubblica Sicurezza. Erano presenti al fatto Madonna Giovanni, Castiglioni Agostino, Cipolloni Gaetano e Cipolloni Luigi.

     Poi il Giudice chiese:

    - Conoscete queste persone?

    - Di nome no - rispose Calisti - Ricordo che c’erano cinque o sei persone, ma non ricordo chi erano. Perché vi ripeto ancora, Signor Giudice, che io era ubriaco. Io ricordo solo Francesco Napoleone. Fatelo chiamare e chiedetegli conferma. Lui se lo ricorda certamente che io ero ubriaco, a tal punto da non capire più nulla.

    - Al punto - chiese il Giudice - da non capire la gravità di quello che andavate gridando? Non vi rendete conto che inneggiare a Francesco Secondo come Re d’Italia è un oltraggio al vero Re d’Italia?

Calisti non rispose. Abbassò la testa e smise di passarsi le dita fra i mustacchi. Ma, poiché non rispondeva, il Giudice Capalozza chiese ancora:

    - Ve ne rendete conto?

    A causa dell’ostinato silenzio dell’arrestato, aggiunse ancora, spiegando:

    - Forse non sapete che, inneggiando al passato Re, come Re d’Italia, vi siete reso responsabile del reato, gravissimo, di discorso pubblico di natura tale da eccitare lo sprezzo e il malcontento contro la sacra persone del Re e contro le vigenti istituzioni costituzionali".

   Il Giudice spiegò che il suo stato di detenzione sarebbe proseguito, che sarebbe stato rinviato a giudizio, che sarebbe stato interrogato nuovamente la settimana successiva e sarebbe stato chiamato a rispondere circa l’intenzione di profittare dell’indulto sovrano emanato proprio due giorni prima, l’11 marzo, la cui applicazione stava per essere effettuata.

    Quando, il successivo 16 marzo, Berardo Calisti fu chiamato a comparire nuovamente in Tribunale, si trovò di fronte un altro Giudice Istruttore, Enrico Tavani, il quale gli chiese:

    - Calisti Berardo, imputato di discorso pubblico di natura da eccitare lo sprezzo e il malcontento contro la sacra persona del Re, intendi profittare dell’indulto sovrano contenuto nel Regio Decreto dell’11 marzo 1865?

    Calisti dovette decidere all’istante. Doveva rispondere sì o no? Era celibe, non aveva moglie e figli, ma aveva una madre che lo aspettava ed erano undici giorni che si trovava in carcere per essersi ubriacato al punto da unirsi ad altri sciagurati e andarsene insieme con loro in giro per le strade di Teramo gridando "Viva Francesco Secondo Re d’Italia !"

    - Sì - rispose.

    - Bene, - replicò il Giudice Tavani - gli atti saranno rimessi per gli opportuni provvedimenti al Procuratore del Re.

   Calisti rimase deluso quando fu informato che, nonostante avesse accettato l’indulto sovrano, avrebbe dovuto tornare in carcere e lì aspettare che il Procuratore del Re prendesse i propri provvedimenti e perché la Sezione di Accusa della Corte di Appello di Aquila sancisse il non luogo a procedere per essersi estinta l’azione penale per indulgenza reale. Cosa che avvenne il successivo 22 marzo.

    Berardo Calisti uscì dal carcere due giorni dopo, il 24 marzo. Diciannove giorni di carcere per una bevuta di pessimo vino gli parevano decisamente troppi.

     

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