LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Il sogno infranto

 

Era meglio restaurare il Teatro Corradi, assai malridotto, o era meglio costruire un nuovo teatro? Le spese di restauro del Teatro Corradi sarebbero state ingenti e così l’Intendente della Provincia, Marchese Spaccaforno, sposò in quell’aprile del 1840 la tesi di chi sosteneva che era meglio costruire un teatro nuovo. Anzi, in un opuscolo che fece stampare, sostenne di essere stato il primo ad averne avuta l'idea, appena era arrivato a Teramo.

     Il Sindaco Pietro Marcozzi, d’accordo con lui, fece redigere dai due deputati ai pubblici spettacoli e approvare con delibera decurionale l’8 aprile 1840 un progetto economico-finanziario, che prevedeva una sottoscrizione volontaria tra i cittadini di Teramo. Per la raccolta dei fondi (la spesa prevista era di 15.000 ducati) fu costituita un’apposita deputazione, composta da Giustino Ferrajoli, Filippo Urbani, Vincenzo Irelli e Giovanni Marcozzi, oltre a Domenico Savini con funzioni di cassiere.

     Il numero degli azionisti previsto era di 300, ciascuno dei quali avrebbe avuto titolo preferenziale per l’assegnazione dei palchi: ogni quattro azioni un palco, ogni due azioni metà palco, ogni azione un quarto di palco. I palchi sarebbero stati complessivamente 50, distribuiti in tre ordini. L’incarico di fare, gratuitamente, il progetto del nuovo Teatro fu dato all’Ing. Nicola Mezzucelli.

     Ma dove costruire il nuovo teatro?

 

Fanny Sadowski

     Si pensò all’antica casa Michitelli, poi alla casa Camponeschi, ma il prezzo d’acquisto era troppo elevato e così si optò per la casa Cagnacci, con gli orti adiacenti. Il sito avrebbe consentito al nuovo Teatro di affacciarsi sul Corso di sopra. Esso corrispondeva, all’incirca, all’area dove poi sarebbe stato costruito il Teatro Comunale. Venne organizzata una gara d’appalto a ribasso, che fu vinta dall’appaltatore Raffaele Conti, con il quale il Comune di Teramo stipulò un contratto davanti al notaio Berardo Maria Bonolis il 10 novembre 1841. L’ultimazione dei lavori di costruzione dalle fondamenta era prevista entro 4 anni, con una penale di 500 ducati in caso di mancato rispetto del termine e diritto del Comune di stipulare un nuovo contratto con un diverso appaltatore per il completamento dell’opera.

     La sottoscrizione però non andò molto bene: alla fine del 1841 risultarono raccolti soltanto 1255 ducati (così resocontò il nuovo cassiere Gammichele Thaulero) a fronte di 1244 ducati di spese già sostenute, la maggior parte delle quali per acquistare un’altra area, di proprietà di Gaetano e Ferdinando De Rospis, essendosi accertato che il sito prescelto per la costruzione del teatro era insufficiente.

Intanto l’impresa Conti aveva iniziato i lavori, per i quali furono anche utilizzati i detenuti delle locali carceri. Dopo un anno lo scheletro dell’edificio era già pronto ed erano stati innalzati i pilastri per l’appoggio degli arconi e dei muri perimetrali dei palchi e dei divisori interni, palcoscenico e camerini compresi. Ma i fondi raccoltì erano insufficienti e il cassiere Thaulero nel 1843 si dimise e al suo posto furono nominati prima Michele Gasperi e poi Berardo De Mattheis. La situazione economica divenne sempre più grave, la sottoscrizione procedeva a rilento e le spese aumentavano, tanto che il cassiere dovette anticipare somme proprie.

     All’inzio del 1845 il sogno dei teramani di avere un nuovo teatro si infranse. Re Ferdinando II il 22 febbraio vietò la prosecuzione dei lavori e ordinò di restituire agli azionisti le somme già versate, complessivamente 5.000 ducati. E l’edificio iniziato? Il Re ordinò che esso fosse destinato ad "altro pubblico oggetto". Più difficile era risolvere la questione della restituzione delle somme versate agli azionisti, anche perché l’Impresa Conti si affrettò a richiedere quanto gli era dovuto: 2.439 ducati e 39 grani.

     Sorse, inevitabilmente, un contenzioso giudiziario con il Conti, assai complesso, che sembrò avviarsi a conclusione con una transazione sul finire del 1846. Ma con quali fondi si sarebbe pagato il Conti? Si pensò di vendere i materiali ammassati per la costruzione del teatro, rimasti di proprietà del Comune, e di fissare entrate straordinarie con appositi provvedimenti fiscali.

     La vicenda si complicò quando si venne a sapere che due diversi notai, il Cozza per il Conti e il De Martiniis per il Comunee, avevano predisposto due distinti strumenti di transazione ed entrambi pretendevano di essere pagati. Il 4 novembre 1846 il Sindaco Ferrajoli potè finalmente annunciare all’Intendente che lo strumento di transazione con l’Impresa Conti era stato stipulato, alla presenza di entrambi i notai, chiedendo l’autorizzazione a prelevare la somma da versare al Conti dal fondo delle spese correnti impreviste.

     L’Impresa Conti si vide così riconosciuto ufficialmente un credito di 2439 ducati e 55 grani, che il Comune avrebbe versato ratealmente, compatibilmente con le proprie finanze, ma con versamenti non inferiori a 100 ducati per volta, e con interesse a scalare del 5%. Il Comune restava proprietario della costruzione iniziata e non terminata e del materiale da costruzione inutilizzato, che l’impresario Conti si impegnò a lasciare sul posto.

     Il Conti si impegnò anche ad ultimare la costruzione di una casetta e di un muro sull’orto dei De Rospis, dietro la fabbrica del teatro, perché aveva già ricevuto la somma relativa all’incarico, conservando invece il diritto di servirsi di un casotto appoggiato al muro del Real Collegio, fino a quando il Comune non gli avesse corrisposto l’intera somma a lui dovuta.

     Ma non era finita. Il Comune doveva restituire al cassiere De Mattheis 129 ducati da lui anticipati e rimaneva in sospeso la questione delle somme da restituire ai sottoscrittori. C’era anche un altro problema. Ora che s’era dovuto rinunciare al nuovo teatro, si doveva rinunciare anche alle rappresentazioni teatrali per lo stato ancora peggiorato del Teatro Corradi.

     Fin dal settembre 1845, cioè dopo sette mesi dall’ordine sovrano di sospensione dei lavori del nuovo teatro, il Direttore delle Opere Pubbliche Provinciali, Ing. Gennaro Cangiano, si era attivato per accertare l’eventuale agibilità del vecchio Teatro Corradi. La relazione dell’Ing. Cangiano fu catastrofica: non solo le spese del restauro erano ingenti, ma anche necessarie, perché alcuni muri rischiavano di "ruinare". Ma il teatro Corradi era di proprietà della famiglia Corradi, che intendeva esimersi dalle ingenti spese necessarie e, tentando di sminuire l’entità degli interventi da fare, richiese un nuovo sopralluogo. L’Ing. Cangiano confermò le conclusioni delle sua ispezione precedente, sottolineando ancora i lavori urgenti da fare per "potersi considerare escluso ogni accidente".

     Un anno dopo, nel dicembre del 1846, l’Ing. Cangiano, invitato a fare un terzo sopralluogo, non mutò parere e suggerì che si doveva subito ordinare ai proprietari del Teatro Corradi, Salvatore Corradi e Luisa Gatti, di effettuare i lavori di restauro, di cui egli redasse un preciso elenco.

Soltanto parte dei lavori furono realizzati, ma il Teatro Corradi fu alla fine reso di nuovo agibile e tornò ad aprirsi alle rappresentazioni, ai componenti poetici, agli artisti e alle attrici, di poca o di media fama. Fino a quando nel 1854 non vi entrò regina, la celebre Fanny Sadowski, e i teramani persero la testa per lei.

     A 27 anni Fanny, mantovana di nascita, ma figlia di un capitano polacco al servizio dell'Austria, era uno splendore: alta, flessuosa, magrolina, con i capelli ricciuti e nerissimi, la pelle candida tipica delle bionde, aveva insieme i tipi della bellezza nordica e di quella meridionale. La sua voce era dolcissima e tuttavia squillante, la sua personalità magnetica, tanto che ad essa doveva di avere esordito, giovanissima, a Milano, nella prestigiosa compagnia di Gustavo Modena, impersonando Micol nel Saul di Vittorio Alfieri, e di essere diventata la rivale dell'altrettanto celebre Adelaide Ristori.

Quell’esordio era stato un ottimo trampolino di lancio, che l'aveva proiettata nel firmamento del grande teatro italiano. Quando la Compagnia Modena fu ceduta al Battaglia, la Sadowski ne aveva seguito le sorti, diventando prima attrice. In seguito la sua fama sarebbe cresciuta al punto che avrebbe potuto formare sue proprie compagnie, la prima con il caratterista Astolfi, la seconda con Luigi Taddei e Achille Magironi. Commediografi di valore avrebbero scritto parti appositamente per lei, avrebbe sposato a Napoli il Cav. Santarelli e avrebbe formato altre compagnie proprie, arrivando perfino ad assumere personalmente la gestione di importantissimi teatri, non escluso quello di Napoli.

     Ciò che incantò e sedusse i teramani era ciò per cui Fanny Sadowski era diventata famosa: il calore e la passione che mostrava sul palcoscenico. Quando arrivò a Teramo il suo nome era sulla bocca di tutti, perché era appena accaduto, qualche mese prima, un episodio che aveva contribuito alla sua celebrità. Le autorità avevano disposto che sulla scena gli attori e le attrici dovessero limitarsi a scambiarsi baci finti e avevano stabilito una multa per l'attore o per l'attrice, o per entrambi, che avesse mostrato durante il bacio troppo trasporto.

     Ebbene, Fanny era solita non curarsi della disposizione e dare tutta se stessa durante le scene d'amore, tanto che a Napoli, durante una rappresentazione della "Francesca da Rimini" di Silvio Pellico, ella aveva baciato l'attore che impersonava Paolo con tanta passione da essere multata di 12 ducati. Ma Fanny non per questo si era mostrata più fredda sulla scena e la sera successiva non mostrò minore passione nel baciare Paolo, e due volte, tanto che si sentì una voce dal pubblico esclamare: "Donna Fanny, so' 24 ducati! " Né la divertita e maliziosa ilarità degli spettatori a quella battuta, né la seconda multa, effettivamente di 24 ducati, non avevano scoraggiato Fanny, che aveva continuato a dispensare i suoi baci appassionati ai suoi partners e il pubblico aveva continuato ad applaudirla sempre di più per quei suoi "trasporti" in scena. Ma le autorità se l'erano presa a male e, per far cessare il suo "scandaloso" atteggiamento, avevano minacciato di proibire le sue rappresentazioni.

     A Teramo Fanny Sadowski non fu mai multata, a questo non vuol dire che si mostrò fredda e poco appassionata. Anzi, tutt'altro, tanto che chi accorreva al Teatro Corradi era letteralmente estasiato da lei. Un anonimo teramano nel giugno del 1854 le dedicò un componimento poetico che cominciava con questi versi: "Ed io ti vidi, e il pallido tuo viso / Fea l'ardenza de l'anima palese / E non so dir se più del tuo sorriso / Il tuo pianto nell'anima mi scese." La conclusione esaltava il temperamento di Fanny: "Ebbri ne fai di voluttà segreta / Se finto è sempre il tuo riso e l'affanno, / Tu sublime piacer ne fai l'inganno."

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