LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Intrigo nella Curia

 

Il 29 febbraio del 1904 il sacerdote Don Emidio Forti presentò una denuncia contro il cugino, Giovanni Fabbri, pubblicista, fondatore e direttore de "Il Centrale". L’accusa era quella di essersi recato quella stessa mattina nella Curia Vescovile di Teramo, di aver fatto chiamare il canonico Don Pasquale Fabbri, Vicario di molti vescovi di Teramo, che era zio di Giovanni, e di avergli chiesto: "Perché avete mandato Don Emidio Forti dal direttore della Banca Mutua Popolare a dire che non intendete più firmare le mie cambiali?". Ma non glielo aveva certamente chiesto in buone maniere. Anzi. Aveva strillato, inveito, usato parole assai pesanti. E non si era limitato ad usare le parole. Aveva anche minacciato. E molto. Non contento di inveire e minacciare, aveva anche fatto qualcos’altro di molto grave.

    Don Emidio Forti scrisse nella denuncia che Giovanni Fabbri aveva costretto suo zio, il canonico, a firmare le cambiali a suo favore. Aveva usato le minacce e anche la forza, arrivando perfino a puntare contro lo zio una rivoltella, minacciando di ucciderlo se non avesse firmato le cambiali.

    Il Procuratore del Re, Cav. Luigi Pagliani, delegò il Pretore di Ma come sapeva dell’accaduto Don Emidio Forti? Si era forse trovato presente alla scena? No. Il tutto gli era stato raccontato, ma per filo e per segno, dallo stesso canonico, da Don Pasquale Fabbri. Quando gli aveva raccontato quello che era appena avvenuto, Don Pasquale appariva ancora tutto sgomento e quasi convulso. Era terrorizzato. Don Emidio cercava da tempo di convincere il canonico a non rinnovare le cambiali a suo nipote, che spendeva tutte le somme che gli venivano date dallo zio per quello che egli definiva "quell'inutile giornale".

   Ma Don Pasquale, che all’inizio aveva prestato denaro al nipote per affetto e poi aveva continuato a farlo per necessità e per essere stato continuamente pressato, si era convinto a seguire il consiglio di Don Emidio Forti e aveva preso a rifiutare di firmare ancora delle cambiali a favore di Giovanni. Questi sapeva bene che a consigliare lo zio a stringere i cordoni della borsa era Don Emidio e aveva preso a considerarlo come il suo principale nemico.

 

 

 

Giovanni Fabbri

 

   Quando Giorgio Romani, un giovane studente che abitava nella casa di Don Emidio Forti, per avere suo padre sposato in seconde nozze una sorella di Don Emidio, era andato in curia a persuadere Don Pasquale a non tener conto delle minacce del nipote Giovanni, si era sentito dire dal vecchio canonico:

   - Non posso rifiutare. Ho il coltello alla gola.

   - Perché? - aveva chiesto il giovane.

   - Perché mio nipote mi ha mostrato un pugnale, dicendomi che se non firmo le cambiali farà scorrere per tutta Teramo il sangue di Don Emidio Forti.

   Il canonico aggiunse che il nipote aveva anche detto "Se non volete ricordare uno spettacolo, firmate le cambiali!"

   Giorgio Romani, che era stato citato come teste nella denuncia di Don Emidio Forti, si recò anche lui in Procura, spontaneamente, prima ancora di essere stato chiamato a testimoniare, dicendosi pronto a confermare le accuse di Don Emidio, come denunciante-testimone. Con tutta la discrezione possibile, ma qualche voce si diffuse e molti cominciarono a parlare dell’accaduto, fu iniziata una istruzione da parte delle autorità. Don Pasquale Fabbri escluse, quando fu sentito, di essere stato minacciato con il pugnale dal nipote Giovanni. Escluse anche che questi avesse espresso delle minacce nei confronti di Don Emidio Forti. Così il 25 luglio 1904 l’Istruttore dichiarò il non luogo a procedere nei confronti di Giovanni Fabbri per inesistenza di reato.

Ma la cosa non finì lì. Infatti le voci sull’accaduto si diffusero per responsabilità dello stesso Don Emidio Forti, il quale cominciò a parlarne in giro, per crearsi un’opinione pubblica favorevole. Una mattina, quella del 1° aprile 1905, raccontò ogni cosa, con dovizia di particolari, nei locali della Banca Mutua popolare, in presenza di molte persone.

   La stessa mattina riferì l’accaduto a due canonici, Don Francesco Giosia e Don Antonio Iezzi, nella sagrestia della cattedrale. Ricordò anche l’arresto di Giovanni Fabbri, avvenuto qualche anno prima, accusato di aver falsificato delle cambiali di suo zio. Non ricordò che Giovanni era stato assolto con formula piena dall’accusa. La cosa diventò così di dominio pubblico tanto da indurre Giovanni Fabbri a presentare una denuncia per calunnia contro Don Emidio Forti e lo studente Giorgio Mariani. Giovanni Fabbri nella denuncia ribadì di non aver minacciato lo zio. Era Don Emidio Forti l’anima nera, che ce l’aveva con lui e cercava di mettergli contro lo zio e tutta la città. "Ce l’ha con me – diceva – perché io ho sempre rimproverato la sua cattiva condotta, perché l’ho indicato come autore di un esposto anonimo contro di me al Procuratore, e per questioni di interessi familiari. Lo possono dire l’avv. Francesco Danesi e l’avv. Felice De Michetti".

   Quali fossero gli interessi, Giovanni ci tenne a farlo sapere in giro. Don Emidio lo voleva cacciare dalla casa dove abitava lui, sulla quale gravavano delle ipoteche della Banca Mutua Popolare in garanzia delle cambiali firmate a suo favore dallo zio canonico, e che era stata assegnata, con atto di donazione di Don Pasquale Fabbri redatto dal notaio Machì la notte del 1 dicembre 1902, a Concetta Forti, sorella di Don Emidio. Insomma lo zio di Giovanni Fabbri aveva donato alla sorella di Don Emidio Forti la casa dove abitava lui, Giovanni, e ora Don Emidio pretendeva che lui se ne uscisse da quella casa e per costringerlo lo aveva falsamente accusato di aver minacciato lo zio, con pugnale e revolver.

    Il Sostituto Procuratore Carlo Marchisio volle un’istruzione accurata, e il Giudice Istruttore Raffaele Ranieri, ora che la vicenda era pubblica, non ebbe bisogno di usare troppa discrezione. E non ebbe riguardi. Se il 41enne Giovanni Fabbri fu da lui considerato come un cittadino qualsiasi, non come il direttore del più noto giornale cittadino, Don Emidio Forti fu per lui soltanto il cittadino Forti Emidio, fu Innocenzo e fu Vincenza Fabbri, di anni 43, altra volta processato.

    Oreste Morichetti, fu Leopoldo, di anni 39, nativo di Roma, segretario di intendenza, dichiarò al Giudice Istruttore Ranieri il 3 maggio 1904 che il canonico Don Pasquale Fabbri, con il quale giornalmente conversava perché si trovava pensionante nella sua casa, mostrava le facoltà mentali e la memoria alquanto indebolite. Egli dimenticava le cose o le ricordava male.

   - Mi chiede spesso di parlargli di processi celebri – dichiarò ancora – e gli ho dovuto narrare il processo Murri per varie volte.
   Domenico Patriarca, fu Vincenzo, 49, infermiere di manicomio, nativo di Basciano, dichiarò di essersi trovato presente quando Giovanni Fabbri, in casa di Don Pasquale Fabbri, presso il quale la moglie era a servizio, aveva puntato una rivoltella contro sua cugina Concetta Forti, dicendo: "Non ti azzardare a cacciare la mia roba dalla camera, se no questo ci penserà!". Il fatto, disse, era avvenuto perché il canonico aveva donato la casa a Concetta Forti e costei pretendeva che i cugini Giovanni ed Antonino Fabbri, quest’ultimo anche lui sacerdote, lasciassero quella casa. Anche Filomena Allulli, fu Arnaldo, di anni 60, confermò l’episodio del revolver.

   Il maestro Camillo Pepe, fu Nicola, di anni 30, nato a Teramo, ma residente a Bellante, testimoniò il 4 maggio 1905. Disse che Don Emidio Forti e Giovanni Fabbri si perseguitavano scambievolmente, senza accorgersi che avrebbero dovuto farla finita.

   Il 21enne Giorgio Romani, che era studente di legge a Roma, fu interrogato dall’Avv. Agostino Squarcetti, Giudice Istruttore del Tribunale di Roma, e si disse innocente del reato di calunnia. L’Avv. Luigi Paris, 45enne, fu sentito come teste il 6 maggio 1905. Parlò del forte attrito che c’era tra Don Emidio Forti e Giovanni Fabbri. Lo stesso fecero l’Avv. Zeffirino Tanzi, di Cesare, di anni 33, e l’Avv. Gustavo De Marco, fu Flaviano di anni 57.

   La decisione del Giudice Istruttore Ranieri arrivò il 23 maggio 1905 e si conformò al parere già espresso dal P.M. Carlo Marchisio: non luogo a procedere a carico di Forti Emidio e Romani Giorgio per inesistenza di reato. I due non avevano avuto l’intenzione di diffamare Giovanni Fabbri, ma solo quella di informare dell’accaduto.

    Fu in quello stesso anno che Don Pasquale Fabbri morì.

 

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