LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

"Mi licenzio... anzi, cacciatemi!"

 

Il 6 settembre 1876 il Preside del Liceo Classico di Teramo scrisse al Ministero una lettera molto accorata, pregando di non tenere più in alcun conto la domanda di ritiro del Professore. Che la si considerasse come mai inviata, per favore.

    Il Preside spiegava che si trattava di un caso umano. Il Professore di Storia e Filosofia aveva chiesto il ritiro a causa di una pesante situazione debitoria. Egli aveva infatti problemi economici così gravi da essere stato indotto a sperare di poterli risolvere soltanto con la liquidazione che avrebbe ricevuto dopo i suoi 24 anni di insegnamento nei Licei. Ma, scriveva il Preside, ritirata la somma, e pagati con essa soltanto a malapena tutti i creditori, come avrebbe potuto il Professore provvedere in seguito, per gli anni a venire, ai bisogni della sua famiglia, della moglie e dei suoi sette figli?

 

 

 

    Era stata la stessa moglie del Professore, recatasi dal Preside, ad esternargli questi penosi interrogativi. La poveretta si era presentata in lacrime e lo aveva pregato di intercedere presso il Ministero, perché la domanda di ritiro del marito fosse considerata come non spedita. Quella visita aveva molto turbato il Preside, il quale era riuscito a trovare solo un cognato del Professore disponibile a dargli un aiuto economico. Egli aveva poi insistito perché il professore gli fornisse la lista dei creditori e perché accettasse che fosse lui, il Preside, ad amministrare la sua situazione finanziaria, fino a quando il Professore non avesse del tutto estinto ogni suo debito. Nella lettera il Preside si diceva indotto a rivolgersi al Ministero dalla volontà di non perdere un ottimo insegnante e per misericordia verso una famiglia.

    Il Professore aveva presentato la sua domanda di ritiro sul finire di maggio e, poiché il Ministero ne aveva fatto chiedere le ragioni al Preside, il Professore era stato costretto a svelare il suo dissesto finanziario. Il Preside lo aveva allora aiutato, affidandogli alcune ore supplementari di supplenza, ma a poco era servito e la folla dei creditori non era diminuita. Aveva anche chiesto al Ministero che al Professore fosse accordata la liquidazione di una somma, come anticipazione degli emolumenti mensili.

    Questo, aveva scritto il Preside al Ministero, avrebbe evitato il ritiro e sarebbe risultato di aiuto determinante ad un uomo nel cui animo la difficile situazione aveva indotto uno stato di esaltazione mentale, nella quale, per certe affermazioni che erano state sentite, si potevano cogliere propositi nefasti, tali da poterlo indurre a qualche passo fatale. I creditori minacciavano di portarlo in giudizio e il Professore riteneva che questo, e la sentenza che ne sarebbe seguita, era insopportabile per il decoro e la dignità sua e della sua famiglia, dopo nove anni di permanenza a Teramo, dove era stato sempre stimatissimo per la sua ottima condotta e per la sua sicura scienza. Ma il Ministero aveva negato la concessione di una anticipazione, argomentando che il Professore si sarebbe poi trovato nella necessità di una restituzione mensile della somma anticipatagli, per un importo non piccolo, continuando a dover provvedere alle esigenze quotidiane della propria famiglia con uno stipendio diminuito.

    Nel contempo il Preside era stato invitato a confortare il Professore con "acconce parole". E intanto perché non tentare di fargli riavere quell’incarico presso l’Intendenza di Finanza, che gli avrebbe consentito di aumentare le sue entrate mensili? Ma verso la fine di luglio era successo un fatto assai spiacevole. Il Professore aveva chiesto all’Economo del Liceo una piccola somma come anticipazione dello stipendio e l’Economo gliel’aveva negata. Così il Professore aveva perso la testa e aveva pronunciato delle parole alquanto sconvenienti all’indirizzo dell’Economo. La sua situazione era peggiorata quando il Preside era stato costretto ad avvertire il Provveditore che, secondo alcuni, il Professore tutte le sere si recava in una bettola di Teramo, "frequentata dal rifiuto della piazza", e rimaneva per ore a leggere su un tavolo e a bere qualche litro di vino.

   Il Professore era ora senza l’anticipazione e senza la liquidazione. Non aveva altra strada. Prese carta e penna e scrisse in bella calligrafia:

   "Ill.mo Sig. Prefetto, Poiché il Ministero della Pubblica Istruzione non ha voluto accogliere la mia domanda di essere dispensato dal servizio, nonostante che io non abbia dissimulato la gravità dei motivi che mi spingevano a tal passo, io mi trovo indotto in una posizione più dolorosa, posto cioè nella necessità di provocare la mia destituzione. Per ottenere tale scopo da me tutt’altro che desiderato, volgendo al termine l’anno scolastico, non mi resta altra via che quella di non intervenire domani agli esami di Licenza Liceale ed io non ci andrò.

    Una volta destituito, quelle Leggi, che io non ho nessun bisogno di conoscere, faranno il loro corso da sé. Tanto ho l’onore e il dispiacere insieme di rispondere alla Riveritissima sua comunicazione d’oggi.

    Umilissimo Servo Prof. G. Salamitto."

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