LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Nella bettola di "Pelagallina"

 

   La sera di mercoledì 4  febbraio 1885 un caporale e un soldato del 44° Reggimento, di stanza a Teramo, entrarono nella bettola di “Pelagallina” (questo il soprannome dell’esercente), si sedettero ad un tavolo e ordinarono un litro di vino. Mentre lo bevevano, si avvicinò ai due militari un calzolaio, certo Fratone, che cominciò a discutere con loro, avendo nei loro confronti del rancore maturato in precedenti incontri, non troppo amichevoli.        

    Nel corso della discussione, il caporale si ebbe uno schiaffo da Fratone, che poi si diede alla fuga, immaginando benissimo quel che sarebbe potuto accadere e che infatti accadde. I due militari uscirono dalla bettola e, tornati in caserma, informarono dell’accaduto i loro commilitoni. 

 

    Così poco dopo un folto gruppo di militari, con alla testa lo schiaffeggiato e il suo compagno di bettola, si mise alla caccia dello schiaffeggiatore. Dopo una mezzoretta, la caccia ebbe successo. Fratone fu trovato in un portone dove si era rifugiato, fu catturato, preso a calci e sputi e trascinato a viva forza, con l’intenzione di consegnarlo alle guardie nella caserma della Pubblica Sicurezza. Ma in breve tempo si sparse la voce per Teramo dell’accaduto, della caccia e dell’intenzione dei militari, sì che in Piazza si riunì una gran folla, che mostrò intenzioni assai bellicose nei confronti dei soldati. Prese le difese del malcapitato calzolaio, la gente ne chiese ai soldati l’immediata rimessa in libertà, tra urla e fischi.. La tensione crebbe quando si sparse la voce che Fratone nella bettola di “Pelagallina”, avesse dato uno schiaffo al caporale dopo che questi aveva detto, e in pubblico: “Vigliacchi abruzzesi!”.

     Nel parapiglia che seguì, Fratone riuscì a svignarsela, protetto dalla gente e i militari, con le daghe sguainate e le piattonate, ebbero il loro da fare per limitare i danni nello scontro che da verbale che era all’inizio stava diventando fisico, tra spintoni reciproci e reiterati. La rissa civili e militari fu sedata dall’intervento di alcuna guardie di città, quando stava per degenerare irrimediabilmente.Il giorno successivo a Teramo non si parlava d’altro e ognuno aggiungeva un pezzo di verità alla ricostruzione che veniva fatta dell’accaduto.

     Sembrava che la padrona della bettola, “Pelagallina”, avesse riferito che mentre il caporale e il soldato stavano bevendo il vino che aveva ordinato, Fratone gli si era avvicinato e aveva chiesto loro di unirsi a lui per una passatella. I militari avevano risposto di non poterlo fare, perché erano in servizio. Improvvisamente, sembrava che avesse riferito “Pelagallina”, si era sentito il rumore di uno schiaffo e il caporale, che lo aveva ricevuto, si era alzato in piedi di scatto, sguainando la daga che gli pendeva a fianco, intenzionato a vendicare l’oltraggio. Era stata lei stessa, che era un donnone forte e robusto, da cacciare dai guai il calzolaio, pronta ad afferrarlo e a buttarlo di peso dalla bettola, consentendogli così di darsela a gambe, vanamente inseguito dal caporale.

     Nella discussione erano pochi quelli che prendevano le parti dei militari e molti di più quelli che prendevano le parti del calzolaio, del quale dicevano che aveva fatto bere a reagire quando aveva sentito pronunciare l’espressione “Vigliacchi abruzzesi”.Conseguenze dell’accaduto ve ne furono. Al calzolaio Fratone vennero refertate lesioni e contusioni guaribili in quindici giorni, prodotte mentre veniva trascinato a spintoni dai militari dopo essere stato catturato.

     Questi ultimi vennero puniti dai superiori con diversi giorni di prigione di rigore. Non mancarono i ben pensanti, sempre pronti ad esprimere buoni sentimenti e prodighi a dare buoni consigli. Si auguravano che lo “spiacevole indicente” rimanesse isolato, per mantenere “la nobile e patriottica tradizione della reciproca stima ed affezione tra militari e cittadini”. L’augurio venne fatto proprio anche dal “Corriere Abruzzese”, che nel numero del 7 febbraio 1885 scrisse: “I soldati sono italiani come noi, nelle loro vene scorre lo stesso sangue nostro, e quindi dobbiamo amarli, e qualche volta scusarli se commettono errori, tanto più quando vi sono superiori pronti a punirli quando hanno torto, come è avvenuto per ciò che fecero in piazza mercoledì”.

 

   

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