Dal 6 al 9 maggio di
quell'anno, il 1898, il generale Bava Beccaris affrontò la folla milanese con le artiglierie, provocando
secondo le fonti ufficiali 80 morti e 300 secondo altre fonti. La
decisione gli avrebbe procurato la Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia,
concessagli generosamente dal re Umberto (che proprio per questo riconoscimento
al Beccaris sarebbe poi caduto colpito a morte dal Bresci, a Monza, il 29 luglio
del 1900), ma anche l'esecrazione dei decenni successivi. Il mese dopo, in
giugno, il generale Pelloux, succedendo ad Antonio Di Rudinì, formò il suo
governo, che sarebbe durato due anni, fino al giugno del 1900.
Proprio nei giorni in cui il Pelloux stava
lavorando alla formazione del suo governo gli alunni del “M. Delfico” di
Teramo preparavano le ultime lezioni per gli imminenti esami finali di licenza
liceale. La commissione esaminatrice si annunciava piuttosto severa ed
esigente, presieduta dal preside prof. Felice Amedi, che dal maggio del
1896 era succeduto al prof. Francesco Agnoloni. Gli altri commissari
non erano da meno, in fatto di severità. Il prof. Ettore Brambilla
insegnava italiano al “Delfico” fin dal febbraio del 1894 e aveva fama di
persona assai esigente. Il prof. Pietro Ariotti, insegnante di latino e
greco, era venuto a Teramo proprio quell'anno, in marzo, e non se ne conoscevano
le abitudini in sede di interrogazione di esame. Il
prof. Rodolfo Cristofanelli, insegnante di filosofia, era invece al “Delfico”
dal 1894 e di lui si sapeva tutto. Il prof. Fedele Tonelli, insegnante di
matematica, era ancora più conosciuto di lui, essendo al "Delfico" fin dal 1890;
non aveva più misteri per i ragazzi della licenza liceale di quel 1898, l'anno
che sarebbe stato ricordato per le cannonate di Bava Beccaris più che per le
angosce in vista delle prove finali di quella scolaresca. Il professore di
fisica e chimica era Francescantonio Pieroboni, al suo secondo anno teramano,
mentre l'insegnante di storia naturale era il prof. Luigi Re, che aveva preso
servizio nel Liceo teramano nell'ottobre del 1895.
Non sapevano ancora quei ragazzi che il corpo docente si sarebbe quasi del tutto
disperso all'inizio del nuovo anno scolastico. Avrebbero infatti lasciato il
Liceo teramano il prof. Re, il prof. Pieriboni, il prof. Daniele Franco,
insegnante di latino e greco, il prof. Salvatore Mele, insegnante di storia e lo
stesso prof. Brambilla. Sarebbero restati soltanto il prof. Tonelli
e il prof. Cristofanelli. Era stato un anno scolastico
particolare quel 1897-98. Erano sedici all'inizio in classe. Poi
Tommaso Sorricchio si era ritirato il 21 marzo e ancor prima, pochi giorni prima
di Natale, era morto Marco Zacchei, il più simpatico della classe, il “nonno”,
chiamato così per essere il più anziano, 21 anni ad ottobre. Ma il
notareschino aveva avuto una carriera scolastica tormentata dai suoi
malanni. L'anno scolastico precedente aveva dovuto abbandonare la scuola
il 23 dicembre, con due sole insufficienze, cinque in fisica e quattro nello
scritto di latino. Nelle altre materie non andava male: otto e otto in storia e
in filosofia, sette in matematica, nove in greco, otto in storia, otto
nell'orale di latino. Tutti dieci in condotta. Si era poi presentato agli esami
di ammissione in terza liceo da privatista ed aveva riportato due quattro
(versione dall'Italiano al Latino e versione di greco) e un cinque nel tema
d'italiano. Tutti sette nelle altre materie, fuorché un otto in storia
naturale. Nell'esame di ottobre era riuscito a raggiungere la sufficienza
negli scritti che aveva dovuto ripetere e poi anche negli orali se l'era cavata
abbastanza bene, tanto da raggiungere il sei e l'ammissione in terza. Si era
così ricongiunto alla. classe, cominciando a frequentare il nuovo anno
scolastico. Ma la sua salute aveva ricominciato a peggiorare e aveva ripreso ad
assentarsi. Poi l'I I dicembre la fine. In classe fino a Natale non ci fu
mai chi seppe ritrovare il sorriso, nemmeno alle battute del professore di
filosofia, il marchigiano ottimista. Di tanto in tanto in
quell'estate del '98 Giovanni Fuschi, tornato a Castelli dopo la conclusione
dell'anno scolastico e il conseguimento della sospirata licenza liceale, pensava
ancora a lui, a quel suo sfortunato compagno di classe. E agli altri, a
quel Tommaso Sorricchio, di Atri, che aveva lasciato la scuola in marzo,
nonostante fosse riuscito, nel secondo bimestre, a raggiungere la sufficienza in
due dei tre scritti nei quali nel primo bimestre era andato decisamente
male. Ma aveva nove in greco orale nel primo bimestre, passato poi a sette
nel secondo e otto in filosofia e nell'orale di latino. Aveva abbandonato la
scuola improvvisamente, a sorpresa, così come sorprendentemente si era sempre
comportato, con un atteggiamento che aveva provocato nel suo rendimento qualche
alternanza inspiegabile. Era così bravo in filosofia e fisica da meritare
in queste due materie la promozione a luglio senza esami finali, ma anche così
in difficoltà in storia e in italiano da farsi rimandare all'esame di
ottobre. Poi ad ottobre il quattro di storia era passato a sette e il
cinque di italiano a sei, con un bell'otto all'orale però.
Perché Sorricchio aveva lasciato la scuola ? Ma,
soprattutto, perché era morto Zacchei ? Zaechei... lo aveva ancora davanti agli
occhi Zacchei. Lo rivedeva e lo risentiva, come quel giorno con il
prof. Cerulli:
“Albisola, 19 aprile 1948 Caro
Peppino (... ) Avrei voluto farti conoscere il prof. Cerulli: Eugenio
Cerulli: quando in classe ci declamava qualche pezzo forte: piuttosto piccolino
e panciuto, ma ben piazzato, con una gran pelata, sulla quale in quelle
occasioni si dava delle gran manate a piatto. E gonfiava le guance per
arrotondare meglio le parole, per quasi risonare all'orecchio.”
Era stato il loro professore del ginnasio superiore,
il prof. Cerulli. Era già da al “Delfico” di Teramo, una vera
istituzione. E lo sarebbe restato a lungo. restato ininterrottamente
professore al ginnasio di Teramo fino al 1923, sarebbe finalmente andato in
pensione dopo aver istruito generazioni e ni di studenti teramani. E tutti
i suoi alunni avrebbero ricordato di lui, a quei caratteri somatici e
psicologici che Giovanni aveva presenti nel ricordo in quell'estate del '98, a
Castelli, ancora con la licenza liceale fresca in quegli stessi caratteri egli
aveva altrettanto presenti, nel ricordo più ma lo stesso assai preciso e vivido,
ora che, nell'aprile del 1948, descrive suo antico professore di ginnasio in una
lettera indirizzata al nipote prediletto, Peppino Scarselli, con il quale, da
benevolo nonno materno, aveva intrecciato corrispondenza tanto fitta quanto
amorevole.
“Rètore nato, come un cantastorie; come i poeti
da strapazzo che fanno nei pranzi di nozze, quando hanno la pancia piena di
vivande scelte. Non gli dispiaceva l'esagerazione, e qualche volta andava
forse un po' oltre. In classe va spesso di raccontare episodi di
caccia nei quali era protagonista. Una volta ci raccontò ciò che gli
era accaduto a Pagliara; ed il suo racconto era più che commentato dai gesti
molto abbondanti. Te la riferisco in breve: dietro un masso gli scorge una
serpe, animale che gli faceva orrore. Bum ! e la serpe a terra; non aveva
ancora rimesso il fucile in ispalla, che appare un'altra serpe. Bum ! ed
immediatamente ecco mostrarglisi una lepre. Rimette il fucile alla spalla
e.....bum ! si sente dai banchi; e ricordo che fu un compagno che si chiamava
Zacchei, ed era di Notaresco, e che poi morì. Meraviglia indignata del
professore, che con l'occhio inasprito si rivolge interrogativamente
all'alunno. Ma questi, con modestia e voce pacata gli dice: professore !
Se avevi una doppietta, come facevi a sparare tre colpi di fucile di seguito,
senza aver ricaricato il fucile ? ”
Povero Zacchei ! Al Ginnasio non era ancora così pallido e
così vistosamente poco in salute come sarebbe parso al Liceo. Era stato
l'allievo prediletto del prof. Cerulli, con il quale aveva spesso duellato in
battute e motti di spirito. Era imbattibile il prof. Cerulli nella sua
frenetica ammirazione dei cibi più prelibati.
“ Albisola, 24 gennaio 1948, Caro
Peppino, (... ) molto piacere mi ha fatto il leggere che potremo riassaggiare
presto il cacio incerato, qualità che non ha nulla da invidiare ai migliori
formaggi del mondo intero. Ne sapeva qualche cosa il professor Cerulli, il
quale, parlava di cacio incerato, aveva la saliva sulla connessura delle
labbra..."
Degli insegnanti del Ginnasio aveva sempre
conservato un buon ricordo, a più di cinquanta anni di distanza, non riusciva a
liberarsi di una impressione: che il ricordo che ne aveva fosse come filtrato da
una nostalgia triste, che addolciva ogni aspetto spigoloso del carattere di quei
docenti, ma che, al tempo stesso, dava un che di caricaturale alla figura che se
ne ricostruiva mentalmente. Non riusciva, per esempio, a non sorridere al
pensiero di quel che ricordava di don Berardo Mezucelli e dei suoi temi
ripetitivi.
“ Albisola, 13 marzo 1948, quando io ero studente
di Ginnasio, di questa stagione, ci davano sempre un tema nel quale, o per fas o
per nefas, entrava in ballo il ritorno della rondinella. Ricordo che una volta,
di ritorno da Castelli, il tema già svolto, volle rivedermelo don Berardo
Mezucelli, un prete alto e magro che, portando anche i calzoni corti, pareva un
uncino, anche perché aveva un naso aguzzo e gli occhi piccoli che guardavano
sempre con le palpebre socchiuse. E usava sempre un inchiostro bleu, e
correggeva con una calligrafia minuta minuta, tutta angoli e spigoli.”
Veramente non era stato proprio un suo professore don
Berardo Mezucelli. Aveva insegnato al Ginnasio superiore fino a tutto
l'anno scolastico 1881-82, quando lui, Giovanni, non aveva che pochi mesi, ma la
famiglia, che lo aveva mandato in Convitto, essendo in amicizia con don Berardo,
lo aveva affidato alle sue cure private e così, di tanto in tanto, don Berardo
gli risentiva le lezioni, gli dava qualche spiegazione, o gli correggeva qualche
compito.
“... Quella volta rimasi soddisfatto perché don Berardo
mi fece parecchie correzioni ed ampliamenti, che mi avrebbero consentito di fare
in classe una figura superiore ai miei meriti. Tutti spariti i Mezucelli !
Di fronte a casa vostra dovrebbe esserci la vecchia casa Mezucelli, dove rimase
la vedova di don Dionisio, quando i fratelli e le sorelle furono estromessi
proprio dalla vedova, sulla strada di Montorio. La vedova andava sempre in giro
per Teramo con una carrozza chiusa, che mi pare si chiamasse brum; ed i parenti
estromessi, che avevano interrotto ogni rapporto con essa, la chiamavano “la
matta”. Com'è buffa, per non dir peggio, la vicenda delle famiglie.
Si trattava di due sorelle e tre fratelli, che erano stati cacciati dalla casa
paterna, ed erano tutti assieme, stretti da un vincolo di affetto e di difesa.
Viveano raccolti, comodamente sì, ma senza alcuno sperpero. Per i servizi
di casa, oltre una vecchia serva che si chiamava Splendora, si giovavano a turno
dei contadini che avevano a Caprafico e Basciano. Ed anche questa feconda
casa Mezucelli se n'è andata a farsi friggere. Dunque, tanti e
tanti auguri, tuo nonno.”
Le famiglie, le famiglie ! Quanti interessi intorno alle
questioni di famiglie Le amicizie, gli averi, gli amori, tutto ruotava intorno a
quello strano soggetto che era “la famiglia”. Storie di famiglie, di
casati, di relazioni. E nei suoi ritorni a Castelli, estivi o natalizi,
Giovanni ripiombava nei cicalecci e nei pettegolezzi, e si risentiva assediato
dagli interrogativi. Chi è in classe con te ? Che cosa fa Enrico Della
Cananea ? E Ulderico Martelli, sì quello di Isola del Gran Sasso, è ancora in
classe con te ? Ettore Tattoni ? No, faceva la seconda, ma ha abbandonato la
scuola in marzo. Non lo so perché, ma mi pare che non andasse male.
Nel secondo bimestre non aveva una sola insufficienza e addirittura aveva
riportato non pochi otto e aveva nove nell'orale di italiano. Sì, di Isola
c'è un altro ragazzo, De Plato. Ha la mia stessa età, si chiama
Carlo. Ha tutte insufficienze negli scritti.
Ariani Angelo. Presente ! Bucciante Alfredo. Presente ! De Giorgio
Niccolò. Presente ! Della Cananea Enrico. Presente ! Lo risentiva e
lo rivedeva ancora il prof. Brambilla, mentre faceva l'appello con la sua
voce profonda. De Amicis Umberto. Presente ! De Plato Carlo.
Presente ! De Simone Amaldo. Presente ! In classe erano stati in sedici
fino all'inizio di dicembre. Poi Zacchei si era ammalato nuovamente e non
era più tornato da Notaresco. Dopo qualche giorno s'era saputo che era
morto. Era stato un brutto Natale quello del '97, con negli occhi ancora
la sua figura e nelle orecchie la sua voce. Fuschi Giovanni. Presente
! Ecco quello sono io, io che rispondo all'appello del prof. Brambilla.
Per fortuna mi sono accorto in tempo. Ero distratto, come sempre.
Pensavo alle balze del Monte Camicia, alle scampagnate a Pagliara, alla
tristezza che mi ha colto quando sono ripartito da Castelli per tomare in
Convitto. Martelli Ulderico. Presente Raimondi Michelangelo.
Presente ! Romagna Manoia Giuseppe. Presente
L'appello mi è passato sopra e l'ordine alfabetico prosegue verso la Zeta di uno
Zacchei di cui il professore non pronuncerà più il nome. Zacchei è
morto. E' uscito dall'ordine alfabetico. Rotini Ottavio.
Presente ! Viene da Corropoli, Rotini, è convittore anche lui e passa tutto il
tempo libero a studiare, ma ha avuto soltanto un otto nello scrutinio finale, in
storia naturale. Rubini Augusto. Presente ! Salvatori
Alessandro. Presente ! Anche lui viene da Corropoli e sta in Convitto.
L'appello è finito. Sorricchio Tommaso ha abbandonato la scuola in
marzo. Zacchei Marco lo ha abbandonato la vita l'11 dicembre dell'anno
scorso. E De Panicis ? De Panicis Umberto ? Prof.
Brambilla, hai saltato De Panicis ! De Panicis Umberto, di Montorio. Sta
in Convitto anche lui.
"Albisola, 7 giugno 1949
Caro Peppino, (... ) Non ti ho ricordato però il più
intelligente di tutti. Umberto De Panicis, di Montorio al Vomano.
Musicista, poeta, caricaturista ! Era capace di ripetere al pianoforte una
sonata, appena ascoltata da un pianino girovago; sulla lavagna col gesso fece
una volta una banda formata dai professori del Liceo, ed a ciascuno aveva
assegnato lo strumento adatto; al professore di storia, ch'era panciuto e
corpulento, mise addosso un basso; al professore di latino e greco, ch era
magro, un clarino. Una sera, nelle ore di studio, ebbe la capacità di
buttare giù ben 400 versi di poesia. Andò a finire Cancelliere di
Tribunale ! una vera perdita ! Ma, spero di avere la possibilità di parlartene
un'altra volta. Povero De Panicis: era veramente una grande testa.
Con questi ricordi, per oggi, ti saluto, mentre sto
piangendo perché la radio sta trasmettendo l'intermezzo dell'amico Fritz di
Mascagni. Anche per i pezzi di musica che mi piacciono mi succede ora che
piango con grande facilità, tuo scioro."
Non sono mai stato incline al pianto, anzi. Della
vita ho cercato di prendere il lato migliore. E' questa maledetta
nostalgia del passato che mi induce a indossare veli di tristezza e sudari di
pianto. De Panicis Umberto. Presente Povero De Panicis. Lo ha
castigato la vita.
"Albisola, 19 aprile 1948, Caro Peppino (...
) rifletti un po' alla vicenda di Icaro. Volare è bello; ma non sempre si
possono avere, solo perché si vogliono avere, le ali che reggono bene anche
quando il sole è spietato ! Quante doti sono necessarie per poter camminare
spediti fuori del binario che la sorte ha riservato per noi ? E nella vita,
credi pure, bisogna preoccuparsi prima di tutto del successo: perchè i bisogni
materiali premono tutti i giorni, tutte le ore. Io ho conosciuto un solo
compagno che non avvertiva i bisogni, ed al quale perciò nulla premeva della
vita pratica. E di numeri... ne aveva !!! Schizzava delle vignette
con facilità maggiore della tua; in una serata ebbe fegato di buttare giù 400
(dico 400) e più versi in un componimento che gli piaceva. Si chiamava De
Panicis ed era nativo di Montorio. Refrattario nella matematica, si
preparo in un giorno, un giorno, agli esami di licenza liceale per la
trigonometria. Era di molto superiore a Romualdi, ad Antonelli, a
Campolonghi. Ebbene, sai com'è morto ? Cancelliere, alla Corte di appello
di Bologna, sì; ma sempre cancelliere. E non credo che abbia prodotto qualche
cosa per la posterità, pur essendo la musica la sua passione. Siamo intesi,
perciò ! Saluta affettuosamente tutti, tuo nonno Zovanni."
Cinque in matematica al primo bimestre, cinque al secondo.
Decisamente non andava giù la matematica ad Umberto De Panicis. Gli dispiaceva
quasi tanto lo scritto di latino. E così per quell'impegnativo esame finale di
licenza liceale De Panicis aveva dovuto impegnarsi per superare lo scoglio del
prof. Tonelli e lo aveva fatto in una notte. E lo aveva fatto così
bene che il professore gli aveva dato un bel sette, un voto che non gli aveva
mai assegnato in tutto l'anno scolastico e nemmeno negli anni precedenti.
Quattordici in classe sul finire di quell'anno scolastico
1897-98, di sedici che erano all'inizio, e Giovanni Fuschi aveva di che essere
soddisfatto, tristezze a parte per la sorte dell'amico Zacchei. L'anno
precedente Giovanni aveva sofferto delle sue carenze negli scritti di latino e
di greco, aveva rincorso invano la sufficienza e aveva dovuto riparare ad
ottobre, quando però era riuscito a farsi assegnare due bei sette proprio nelle
due materie a lui più ostiche. Aveva passato l'estate del '97 a studiare e
a fare versioni di latino e di greco. Per chi come lui, orfano di padre,
si trovava a studiare in Convitto non c'era da lasciarsi andare ad
auto-indulgenze o ad auto-assoluzioni. Il rimorso scottava ad ogni voto
negativo riportato su un compito e ce l'aveva messa tutta per rimontare la
china. In prima liceale era stato giudicato promosso a luglio senza esami
e con la media piena del sette. In seconda liceale invece il suo
rendimento era stato inferiore e aveva dovuto passare l'estate a studiare.
Ora, in quell'estate del '98, era finalmente libero da
impegni. Giovanni si era dedicato alle passeggiate, agli svaghi e ai
sogni, e alle letture preferite. Giornali come il “Don Chisciotte”, il
“Folchetto”, ora, nel 1948 non se ne stampavano più. Quella fu l'estate in cui
Giovanni Fuschi apprezzò particolarmente gli schizzi e le caricature di quei
giornali d'allora. Fu in quell'anno che imparò ad amare quelle produzioni
giornalistiche il cui spessore gli avrebbe consentito di appassionarsi tanto a
“La Domenica del Corriere”, che avrebbe iniziato le pubblicazioni proprio
all'inizio del nuovo anno, il primo gennaio del 1899.
Nello sfogliare le pagine del nuovo settimanale avrebbe sempre ripensato a
quell'estate in cui aveva cominciato a leggere le cronache e le descrizioni del
“Don Chisciotte”, sorprendendosi nel trarne tanto piacere. Lo stesso
piacere che aveva provato a vedere don Fedele Romani fare disegni nel margine di
uno di quei giornali. Don Fedele Romani lo aveva conosciuto proprio
quell'estate del '98. Sì, il prof. Fedele Romani, proprio lui, lo stimatissimo
professore di italiano, autore di quel bellissimo libro, “Colledara” che tanto
gli sarebbe piaciuto leggere e rileggere negli anni successivi.
“Albisola, 29 novembre 1947. Caro
Peppino (... ) Mi è venuto in mente il ricordo di don Fedele Romani nel guardare
la vignetta da te disegnata in calce alla lettera. Don Fedele non solo era
scrittore, e poetava pure, ma sapeva anche disegnare. Io ebbi la fortuna
di stare assieme con lui, nell'estate del '98, quando ero ancora fresco di
licenza liceale, conseguita quell'anno. In quella epoca Don Fedele era
insegnante di lettere al Liceo Dante di Firenze, cattedra credo non inferiore ad
una cattedra universitaria. Venne a passare un po' di giorni a Cermignano,
dai signori Battaglia, perchè vi si tratteneva anche Bernabei, che in
quell'epoca non era ancora deputato. E don Fedele era un conversatone
piacevolissimo, anche per me, che allora ero poco più di un bambino. Ricordo che
un giorno ci intrattenemmo sul personale insegnante del Seminario di Atri, nel
quale era stato alunno don Antonio Battaglia. Quando la parola non gli era
parsa sufficiente ad una efficace descrizione del personaggio, ecco che veniva
fuori lo schizzo, sempre un po' caricaturale, sul margine di un giornale.”
Fedele Romani non era il solo letterato di fama nazionale
che Giovanni Fuschi aveva conosciuto nella sua giovinezza. E se Fedele
Romani lo aveva conosciuto da professore, da persona illustre alla quale si era
avvicinato con rispetto e con timidezza, Luigi Antonelli era stato un suo
compagno di Convitto. Aveva tre anni più di lui e aveva preso la licenza
liceale nell'anno scolastico 189596, quando lui, Giovanni, frequentava la prima
liceale. Ma, nonostante la differenza di età, pur minima, era stato in
buona confidenza con lui, nei lunghi pomeriggi passati insieme a studiare nella
camerata del Convitto. Era già assai bravo al Liceo,
l'Antonelli, aveva otto in italiano e tutti sette nelle altre materie Ma aveva
dovuto impegnarsi molto per arrivare a quei sette della licenza liceale, perchè
nei primi due bimestri di quell'ultimo anno di liceo aveva riportato un cinque
nello scritto di greco e non più di sei nelle materie scientifiche. Aveva
avuto sette in filosofia, invece, però nella votazione finale attribuitagli dal
collegio dei professori si era visto assegnare un sei. Così in quella
materia, e in matematica, suo consueto punto debole, non aveva guadagnato la
promozione senza esami e aveva dovuto affrontare la prova finale, che tuttavia
era poi andata bene. Ma si era rammaricato a lungo di quel sei, venuto
dopo una serie di sette nei primi bimestri. Bravo, sì, l'Antonelli, ma non
quanto Giuseppe Romualdi, convittore anche lui, e anche lui licenziatosi lo
stesso anno di Luigi Antonelli. Avevano la stessa età Romualdi e
Antonelli. Il secondo veniva da Castilenti, il primo da Notaresco ed erano
molto affiatati tra loro. Anche Romualdi aveva un brillantissimo otto in
italiano e gareggiava in bravura nei temi con Antonelli. Romualdi andava
meglio nelle altre materie e soprattutto più di Antonelli brillava nelle materie
scientifiche. Si era licenziato con dispensa totale dagli esami finali.
E Campolonghi ? Brutta storia quella del
Campolonghi. Era convittore anche lui, orfano di padre, e veniva da
Pontremoli. Era venuto a Teramo nel dicembre del 1894 e s'era iscritto
alla seconda liceale, la stessa classe di Romualdi e Antonelli. Ma quanto
era diverso Campolonghi dagli altri due, e da tutti gli altri convittori e
liceali di quegli anni ! Era un tipo del tutto particolare. Quando
successe quello che successe al “Delfico” e in tutta la città di Teramo se ne
parlò a lungo. Perché quello che aveva fatto aveva scosso tutta la scuola
e persino gli ambienti politici della città. Di Campolonghi continuammo a
parlare a lungo, con Romualdi, con Antonelli, tra di noi in convitto, a distanza
di tempo ancora stupiti della sua audacia e della sua sfrontatezza, anzi, del
suo coraggio.
“Albisola, 7 giugno 1949. Caro Peppino
Leggendo i tuoi compiti ho avuto modo di ricordare tre miei compagni di
collegio; e cioè Campolonghi, Antonelli e Romualdi. Campolonghi era nativo della
Lunigiana, ed era venuto a Teramo perchè orfano, e nipote del Preside Rettore
Agnoloni. La madre non gli mandava mai denaro, perchè non ne aveva; lo zio
non glie ne dava affatto perchè i convittori non potevano disporre di alcuna
somma in base ai regolamenti. C'era sempre bisogno di qualche soldo, però,
non fosse altro che per fumare nella latrina. E Campolonghi fumava ! Sai
come faceva per avere i pochi soldi che gli occorrevano ? Faceva compiti
d'italiano per gli altri, e riceveva qualche modesto compenso in contanti, in
spiccioli cioè. Ebbene: Campolonghi, ch'era
socialista, quando andavamo a passeggio e incontravamo un poveretto che chiedeva
l'elemosina, non si contentava di dargli un soldo o anche due; ma gli vuotava
nella mano tutto il contenuto della sua modesta tasca. Essendo convittore, ebbe
modo di organizzare a Teramo una candidatura di protesta contro il deputato
Settimio Costantini, che era per giunta sottosegretario al Ministero della
Istruzione. Il Preside Agnoloni era un dipendente di quel Ministero !
Quando la cosa si seppe il prof. Cerulli si fece un dovere d'informarne il
Preside, il quale si affrettò a rispedire il nipote in Lunigiana.
L'anno dopo, 1898, Campolonghi si trovò coinvolto nei
moti di Milano, e sapemmo poi che era stato arrestato e che fu condannato, mi
sembra a 12 anni di carcere; ma poté scappare ed andarsene in Francia, dove, a
Marsiglia, fece per qualche tempo il facchino del porto. Quando andai a
Parigi, nel '31, avrei voluto rivederlo, ma Korach, ch'era con me, mi sconsigliò
di ricercarlo, perchè tutti i fuorusciti di Parigi, mi diceva Korach, erano
sorvegliati dalla polizia italiana. In seguito, in un giornale,
naturalmente fascista, lessi che se Campolonghi fosse tornato in Italia, il
pezzo più grosso sarebbe stato un orecchio. Chi sa quali contrasti aveva
avuto con Mussolini Antonelli ebbe anche lui
vicende strane. Antonelli era figlio di un veterinario di Castilenti e la
madre era una de Sterlich, non di nome, ma di fatto. Antonelli diventò poi
drammaturgo. Romualdi, dopo essere stato con
Mussolini redattore capo dell' Avanti, fece l'avvocato a Roma; e come
avvocato difese lo scultore Cifariello, che aveva ammazzato la moglie. Un altro
compagno scrittore, ho avuto: Vincenzo Bucci, che amava seguire D'Annunzio, ed
atteggiarvi a D'Annunziano. Costui, per un certo tempo, fu un pezzo grosso
del Corriere della sera.”
Bucci. Bucci era già al Liceo un tipo strano.
Giovanni Fuschi se lo ricordava bene e bene si ricordava le sue stranezze e le
sue manie. Era di Pescara, due anni più anziano, e s'era presentato al
Liceo di Teramo per l'esame di ammissione in terza nel luglio del 1897.
Scritto di italiano: otto. Prova orale: nove. Un portento Poi un
tracollo: versione latino-italiano: quattro; versione italiano-latino: tre;
versione di greco: assente. Prova orale di filosofia: totalmente
impreparato. Prova orale di storia: totalmente impreparato. E poi
matematica: sette; fisica: sei; storia naturale: sei. Nella sessione
autunnale non si era poi presentato, rinunciando del tutto all'ammissione in
terza. Non lo aveva visto più. Giovanni Fuschi aveva poi sentito
dire che Bucci si era presentato nel Liceo di Teramo per gli esami di licenza
liceale nell'ottobre di quello stesso anno 1898, e che li aveva superati.
Poi non aveva sentito più nulla di lui e ne aveva risentito parlare solo quando
Vincenzo Bucci era diventato una semi-celebrità, uno scrittore assai noto,
pubblicando articoli, sempre molto originali, sulle colonne del "Corriere della
sera". Ma Luigi Antonelli era diventato ancora più noto,
un drammaturgo celebrato, a volte messo sullo stesso piano di Luigi
Pirandello. Giovanni aveva avuto una certa impressione a vedere pubblicata
su un giornale una foto nella quale Antonelli e Pirandello erano ritratti
insieme. Aveva letto qualche cosa di lui, ma non era mai andato a vedere
in teatro la rappresentazione della sua commedia più celebre: “L'uomo che
incontrò se stesso”. Di Antonelli ricordava ancora la versatilità, la
gioia tacita dei suoi trionfi scolastici nelle prove di italiano sul rivale
Romualdi, gioia tanto celata quanto Romualdi palesava vistosamente la sua, nel
caso di successi suoi. Di Antonelli ricordava soprattutto un tema
eccezionale, di cui s'era parlato a lungo nel Liceo e nel Convitto, quando
l'aveva composto su sollecitazione scolastica del professore d'italiano. E
ora provava piacere nel raccontare al nipote Peppino quel lontano episodio,
ritraendolo dalle aggrovigliate matasse dei suoi ricordi.
“Albisola, 2 agosto 1949.
Caro Peppino (... ) Ricordo che al Liceo, il
professore di Italiano, Brambilla, del quale conservo ancora buona memoria, per
un tema da svolgere in classe dette agli alunni il seguente tema: Viaggio
ultramondano. Antonelli, che poi finì commediografo, svolse il tema in
terzine dantesche. Immaginava che fosse venuto a rilevarlo nella vita
quale ora essa si svolge, Dante stesso, per accompagnarlo all'inferno in una
visita ad un nuovo cerchio che era stato creato dopo che, con la costituzione
della nuova Italia, erano venuti fuori i comuni con i relativi sindaci;
condannati tutti a salire una grande erta con i piedi immersi uno in uno stivale
pieno di pece bollente e l'altro di ghiaccio fondente. Ed egli lungo
l'ascesa ebbe modo di incontrare il suo paesano ex sindaco di Castilenti, ed
anche ex ciabattino, e di apostrofarlo come se fosse un qualsiasi Farinata.
Per la verità devo spiegarti che il tema Antonelli non
l'aveva scritto in classe, ma egli lo aveva già nella mente quando lo aveva
scritto. Comunque il professore, dando il suo giudizio, dichiarò alla scolaresca
ch'egli pensava che non dovesse essere esaminato alla stregua di un lavoro
scolastico; che aveva delle mende, sì, ma di un altro tenore. Considera
che tutto il tema era stato svolto in terzine dantesche !”
Non aveva, il prof. Brambilla, lo stesso
spirito sarcastico di don Berardo Mezucelli, che amava irridere e scherzare sui
componimenti che non gli piacevano e frustare con severi giudizi i poveri
malcapitati, autori di un tema svolto con poca chiarezza, tanto da fargli dire,
con voce stentorea: “Io leggo Virgilio ed Orazio, leggo anche Dante e, bene o
male, qualche cosa ne capisco; ma leggo te e devo riconoscere che non ti capisco
!” Ariani Angelo. Presente ! Bucciante
Alfredo. Presente ! De Giorgio Niccolò. Presente ! Della Cananea
Enrico. Presente ! Adesso è il prof. Cristofanelli che fa l'appello.
Fa ancora l'appello, da allora. Quattordici alunni in classe, senza Più
Sorricchio Tommaso e senza più Zacchei Marco. E non saltare De Panicis Umberto,
Professor Cristofanelli ! De Panicis è un ragazzo speciale, che ha un conto
aperto con la vita. Aperto, fino a quando quel conto la vita lo ha
chiuso. Facendolo morire cancelliere di Corte d'appello, lui, che era un
genio della musica e della poesia. Lui la vita l'ha affrontata tanto
diversamente da te, professor Cristofanelli, che hai badato soltanto, nella tua
vita, a non cadere da cavallo.
“Albisola, 16 novembre 1949.
Caro Peppino,[...] il professore di filosofia era un
marchigiano di Iesi, ed aveva una maniera simpatica di conchiudere: qualunque
cosa succeda il sole tramonta lo stesso ! ed io resto sempre a cavallo ! E
questo non perchè pensasse anche lontanamente alla filosofia. Della
filosofia non si curava affatto: perché restava pago di avere una cultura di
frontespizio, per usare il termine che prediligeva. Una volta, eravamo
alla seconda liceo, ebbe un'ispezione ministeriale, che fu compiuta dal Prof.
Masci, della Università di Napoli. Questo professore ebbe l'abilità di
mettersi d'accordo con gli studenti, singolarmente, sulle domande che avrebbe
fatto nel corso della ispezione, e tutto questo senza parere. Dalla
ispezione uscì bene, e Masci non era certo uno sciocco. Anche quella
volta, come vedi, egli, da vero filosofo praticante, restò a cavallo."
Prof. Cristofanelli. Presente ! Prof.
Brambilla. Presente ! Preside Amedi. Presente ! Adesso l'appello lo
faccio io. Faccio l'appello di tutti i nomi della mia memoria, prima che
la memoria mi tradisca; faccio l'appello dei miei ricordi, prima che i miei
ricordi svaniscano. E già cominciano a svanire, i ricordi dei volti, delle
voci, delle mani intente a scrivere, a disegnare, dei convittori assorti nello
studio nel silenzio della camerata, e si sovrappongono suoni e voci e volti, di
professori ed alunni, di compagni di classe e di convitto, di Campolonghi morto
in Francia e di Romualdi che scrive per Mussolini. E sono confuso, e ora
mi pare che sia Romualdi ad essere morto in Francia e Campolonghi a scrivere per
Mussolini, e Antonelli a morire cancelliere di Corte di Appello e De Panicis
drammaturgo, fotografato sottobraccio a Pirandello. E Zacchei vivo, vivo
anche lui, con la licenza liceale in tasca anche lui, come avrebbe voluto e come
non ha potuto. Quel lontano '98 è lontano; quei
quattordici ingegni spariti; l'inchiostro con il quale furono scritti i loro
nomi sui registri degli esami, i loro nomi con i loro voti, è ingiallito e
sbiadito. Le firme dei professori apposte in calce all'ultima pagina del
registro, sotto la dicitura “La Commissione giudicatrice” sono le firme di
fantasmi.
“Albisola, 6 dicembre 1949
Caro Peppino, [...] Mi sono ricordato di un
altro funerale ch'ebbi occasione di incontrare una volta, tornando a Teramo
dalle vacanze di Pasqua, proprio lungo la salita dalla provinciale alla chiesa
di Ronzano, dove una volta era il cimitero, forse di Castagna. Doveva
trattarsi di un povero contadino, perchè il corteo era molto modesto; il prete
andava a cavallo di un mulo, e canticchiava quasi sommesso la sua litania,
mentre il tempo bellissimo avrebbe invogliato a cantare un inno di festa alla
vita in pieno rigoglio, alla primavera avanzata.
Io avevo l'anima in pena per la fine delle vacanze e del mio breve soggiorno a
Castelli, ed avrei cantato in compagnia del prete, se il canto di lui fosse
stato un po' più intonato alla circostanza luttuosa. Ma certo non avrei
potuto farlo per non provocare l'ironia del mulattiere che mi conduceva. Come
vedi, a questo mondo non si può essere mai troppo sinceri, perchè è pure
necessario evitare spesso delle gaffe ! Un
po' di rettorica qualche volta nella vita ci vuole, perchè i nostri discorsi
possano avere quel nesso logico che è sempre necessario per chi ci
ascolta. Per esempio, un miserere non starebbe bene nel canto dell'amore
di Carducci ! Non ti pare ? Mi sono piaciuti
però i tuoi giudizi sugli stati d'animo della gente che viene ad assistere ai
funerali. Ma, ti avverto, che non sempre è lecito esprimere i propri
giudizi sulla gente, anche quando se ne parla tra intimi.
Ci sono nella vita argomenti per i quali
conviene attenersi al suggerimento francese, che mi fu una volta suggerito dal
Prefetto Bonomo: glissez ! n'appointez pas ! In certe condizioni quando si vuole
o non si intende fare della rettorica, conviene seguire la maniera dell'abate,
del quale tu hai avuto occasione di apprezzare solo i fiori. Guarda che
l'abate non è sciocco Tuo nonno
Zovanni." |