LA CITTA' DEI RICORDI

di Elso Simone Serpentini

Una festa costata molto cara

 

Stefano Risteo, di ignoti, di anni 32, nato a Bari, soldato del 18° fanteria di stanza a Teramo, celibe, varie volte condannato per lesioni e per furto, vigilato speciale della P.S., alle 23,30 di sabato 15 febbraio 1919 si trovava a ballare in una casa di Via Santo Stefano, di proprietà di Celestino Sulpizii.

    Tra le ragazze che partecipavano alla festa c’era anche la sua innamorata, Zelinda D’Ottavio, detta Linda, di Pietro, di anni 20. Entrarono ad un certo punto quattro sconosciuti e uno di essi invitò la D’Ottavio a ballare. Lei si rifiutò, dicendo di essere stanca. Poco dopo, dovendosi fare una quadriglia, quell’individuo invitò ancora la D’Ottavio, che disse di avere già il suo uomo e indicò Stefano Risteo.

    Quest’ultimo, poco dopo, si vide affrontare dallo sconosciuto, il quale lo prese per il petto e gli disse:

    - Ah, tu sei l’innamorato di costei? Esci fuori!

   Risteo stava per rispondere, quando la D’Ottavio si fece avanti, dicendo che non c’era ragione perché il suo innamorato uscisse fuori. Ma fu spinta e fatta cadere sopra un mucchio di legna.

 

 

 

   Risteo protestò e si ebbe un paio di schiaffi. Vedendosi circondato dagli altri tre individui con i quali lo sconosciuto era entrato, per difendersi, con un rasoio ferì il rivale, dandosi poi alla fuga. Accusato di ferimento, indicò come testi i commilitari Giuseppe Venditti e Giovanni Di Giosia. Come suo difensore d’ufficio fu nominato l’Avv. Serafino Brigiotti.

   Le indagini consentirono di accertare che il ferito si chiamava Rodolfo Donatangelo, beccaio, di anni 36. Fu il Dott. Alcide Tomassini a periziare le sue ferite. Non correva pericolo di vita. Linda D’Ottavio dichiarò di essere stata colpita con pugni al volto, che le avevano prodotto lesioni al naso. Aveva anche riportato una ferita da taglio al gluteo sinistro.

   Uno degli amici con i quali il Donatangelo era entrato nella sala dove si ballava, il 21enne Costantino De Sanctis, fornaio, celibe, fu imputato per lesioni, così come il Donatangelo. Anche Linda fu tratta in arresto, accusata di aver consegnato il rasoio al suo innamorato, non invece il beccaio e il fornaio, i quali rimasero imputati a piede libero. Il Donatangelo, spalleggiato da sua sorella Filomena e dalla moglie Francesca Novelli, si difese accanitamente, protestandosi innocente, nonostante i numerosi precedenti penali. Disse di essere un povero artigiano, padre di due figli. Aggiunse che la ferita al gluteo era stata inferta alla D’Ottavio dal suo stesso innamorato, che con il rasoio dava colpi all’impazzata. Ne avrebbe potuto dare conferma la padrona di casa della D’Ottavio, Erminia, che sapeva tutta la verità. Come suo difensore indicò l’Avv. Antonio De Benedictis.

   Anche Costantino De Sanctis si proclamò innocente. Ammise solo di aver dato un pugno al viso della D’Ottavio, ma dopo che lei aveva passato il rasoio al Risteo. Anche lui disse che a ferire al gluteo la D’Ottavio era stato proprio il Risteo, nella confusione della rissa, e che poteva confermarlo Alberto Di Teodoro, che abitava in Via delle belle donne, ed Erminia, la padrona della casa dove faceva la domestica la D’Ottavio, in Via del Carmine.

   Linda, con qualche precedente penale per oltraggio, interrogata in carcere, si dichiarò innocente del reato di concorso in lesioni. Non aveva passato lei il rasoio al Risteo. La ferita al gluteo le era stata procurata dal Donatangelo o dal De Santis, dopo che Stefano Risteso era fuggito. Contestò con decisione quanto dichiarato dai testi Celestino Sulpizii, Filomena Mincarelli, Alberto Di Teodoro, Erminia Cordone e Natalina Patriarca, secondo cui la ferita alla natica era l’effetto di un taglio subito qualche giorno prima del fatto ad Ascoli Piceno per curare una suppurazione per una iniezione. Sì, aveva riportato una ferita alla natica per curare la suppurazione, ma il colpo ricevuto quella sera con un’arma che non aveva saputo distinguere l’aveva riaperta, anzi, ne aveva prodotto un’altra, più grande, accanto alla prima. Come difensore di fiducia indicò l’Avv. Giovanni D’Intino.

    Fu accusata di calunnia per aver asserito di essere stata ferita dal Donatangelo e dal De Santis. Fu nuovamente interrogata e questa volta indicò come difensore l’Avv. Tito Candelori. Stefano Risteo indicò come testi Pasquale Di Clemente, di anni 32, caporal maggiore in congedo illimitato, e una certa Di Blasio, meglio conosciuta come "la monaca", che abitava in Vico Ospedale Civile.

   In un terzo interrogatorio, il 28 settembre 1919, Linda indicò come suo difensore l’Avv. Bartolomeo Furii. Fu messa a confronto con Addolorata Di Sante, Celestino Sulpizii e Filomena Mincarelli, i quali, tutti, insistettero nel dire che lei, qualche giorno dopo il fatto, aveva loro confidato che a colpirla alla natica, per sbaglio, era stato il suo stesso innamorato. Ma lei insistette nella sua versione.

   Linda fu scarcerata in libertà provvisoria il 15 marzo 1920, su ordinanza della Sezione di Accusa della Corte d’Appello dell’Aquila, ma alle 16 del successivo 9 giugno fu nuovamente arrestata, ad Ascoli Piceno, in un negozio di Piazza del Popolo.

   Il 30 ottobre si trovava ancora in carcere e fece inviare dal suo difensore una nota al Presidente della Corte di Assise, sollecitandolo a fissare la data del processo e protestando che i mesi trascorsi in carcere erano già superiori alla pena che le sarebbe stata inflitta se fosse stata riconosciuta colpevole e condannata.

   Il 10 luglio all’Avv. Bartolomeo Furii si associò, come difensore, l’Avv. Serafino Brigiotti, ma Linda D’Ottavio l’8 gennaio del 1921, a poco meno di due anni di distanza dal giorno della rissa in Via Santo Stefano, era ancora in carcere, in attesa di giudizio, imputata di concorso in lesioni e calunnia, e chiese nuovamente che fosse fissata la data del processo. Anche Stefano Risteo era ancora in carcere, a Bari, imputato di lesioni con sfregio permanente.

   La vicenda giudiziaria si concluse martedì 3 maggio 1921. Linda fu condannata dalla Corte d’Assise di Teramo a cinque anni e dieci mesi di reclusione per il reato di calunnia, di cui quattro mesi condonati per indulto, e ad un anno e otto mesi di reclusione per il reato di concorso in lesioni, tutti condonati.

   Anche Stefano Risteo fu condannato, per lesioni, a tre anni, quattro mesi e sedici giorni, tutti condonati. Costantino De Santis fu condannato a sei mesi e venti giorni di reclusione, di cui quattro mesi condonati.

   Linda presentò un ricorso in Cassazione, che fu respinto il 7 giugno 1921. Ebbe altri due condoni, il primo nell’aprile del 1923 di tre mesi e il secondo alla fine di quell’anno di altri sei mesi. Quando uscì, finalmente, dal carcere si disse che quella festa da ballo le era costata decisamente troppo cara!

 

   

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